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27 agosto 1965: la notte in cui Elvis Presley incontrò i Beatles

Musica

Giuseppe Pastore

55 anni fa la leggendaria visita dei Fab Four a casa del Re a Los Angeles: di quella serata pochissime foto, nessun filmato, nessuna registrazione audio e solo qualche cimelio...

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C'era una volta a Los Angeles. Un incontro leggendario, sospeso tra realtà e immaginazione, di cui oggi ricorrono i 55 anni. La sera del 27 agosto 1965 – un venerdì sera di fine estate nell'idilliaca cornice della West Coast – Elvis Presley incontrò per la prima e unica volta in vita sua quattro musicisti cresciuti con i suoi dischi, il suo stile, il suo carisma sexy, eversivo e irresistibile. Intorno alle nove di sera i cancelli della sua villa a Bel-Air si aprirono per farvi entrare John, Paul, Ringo e George.

L'incontro tra Elvis e i Beatles era stato fortemente voluto dai quattro di Liverpool, che già nel 1964 – durante la loro prima tournée americana – avevano provato invano a combinare un rendez-vous. L'occasione buona si presentò l'anno successivo: nell'agosto del 1965 i Fab Four suonavano a Los Angeles e Presley era a Hollywood per girare un film. Non erano ancora i Beatles “più famosi di Gesù”, come avrebbe dichiarato nel marzo 1966 John Lennon in una famosissima intervista che causò parecchi problemi al gruppo, ma la loro popolarità era comunque alle stelle, tanto da poter impensierire – sostenevano in molti – addirittura quella del Re in persona. Tutti loro erano cresciuti nel mito del cantante di Tupelo, Mississippi. Paul McCartney ricordava il momento magico in cui aveva sentito per la prima volta Heartbreak Hotel in un negozio di dischi di Liverpool; anche John Lennon ricordava vividamente quell'emozione (“L'avevo ascoltata su Radio Luxembourg nell'aprile 1956 e pensai che fosse... la fine di tutto. Ne rimasi completamente travolto, mi fece drizzare i capelli. Eravamo abituati alle classiche voci impostate alla Sinatra, ma adesso improvvisamente non capivamo che cosa diavolo stesse cantando Elvis o gente come Chuck Berry o Little Richard”). Anche George Harrison ne era stato investito per caso, sentendo quelle magiche note uscire dalla finestra di qualcuno mentre girava in bici per Liverpool. 

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Le diplomazie si misero in moto: il deus ex machina dell'operazione fu “Colonel” Parker, il manager di Elvis, l'uomo che ha scritto le regole della moderna industria dell'intrattenimento. Organizzò l'incontro con la sua controparte, Brian Epstein, e fissarono un venerdì sera per il grande evento: 27 agosto 1965 nella villa a Bel-Air in cui vivevano Elvis e Priscilla, al numero 565 di Perugia Way. Cercarono di tenere l'incontro il più possibile segreto ma, quando le due limousine che trasportavano i quattro ragazzi e l'entourage arrivarono a destinazione, trovarono ad aspettarli centinaia di giornalisti, fotografi, semplici curiosi (il sospetto, mai confermato, è che fosse stato proprio Colonel Parker a dare la soffiata alle redazioni). Entrarono, si guardarono intorno e poi gli si parò davanti Elvis in persona: una maglietta bolero rossa (ne aveva di tutti i colori tranne il marrone, che detestava), un paio di pantaloni neri, una giacchetta di pelle nera. I quattro Beatles si sedettero a semicerchio sul pavimento come attorno a un falò, mentre Elvis li guardava in silenzio, su una sedia. Li stimava e li rispettava, non temeva contraccolpi di popolarità; aveva apprezzato la creatività e il divertimento travolgente del film A Hard Day's Night, che l'anno prima aveva imposto la Beatles-mania a tutto il pianeta. La tv a colori era accesa – Elvis teneva la tv sempre accesa – ma a volume muto, come elemento di compagnia. Paul fu colpito dal fatto che Elvis cambiasse canale a distanza: era la prima volta che vedeva un telecomando. Accanto alla tv c'era un grosso amplificatore collegato a un basso. Qualcuno entrò con il vassoio dei drink, ma mentre ai Beatles vennero serviti scotch e Coca, il Re si limitò a una Seven-Up. Non fumava. Se ne stava immobile a fissarli, e loro facevano lo stesso. Poi il silenzio rispettoso e imbarazzato fu rotto da una battuta del padrone di casa: “Beh, che diavolo! Se non avete voglia di parlare, me ne torno in camera”.

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Una delle rare foto della serata, scattata fuori dalla villa di Elvis

Le risate servirono a rompere il ghiaccio e di lì a poco iniziò la più memorabile e irripetibile delle jam-session della storia della musica: un'ora di rock a ruota libera con Elvis – che in quel periodo stava imparando a suonare il basso – accompagnato da Paul, che dopo un po' si spostò al pianoforte. Al centro del salotto troneggiava un juke-box che conteneva tutti i successi di Presley più altre canzoni sparse: “Se non ricordo male”, ricorderà in futuro John Lennon, “il primo pezzo che suonammo fu You're my world di Cilla Black”. I rispettivi manager, non troppo interessati a suonare, si appartarono per giocare un po' alla roulette. Tra coloro che avevano accesso alla corte del Re c'era anche Larry Geller, il suo parrucchiere personale, che raccontò il particolare di George Harrison che a un certo punto uscì fuori in giardino, al buio, sedendosi sotto un albero a fumare una canna. Intorno alle 22 arrivò per qualche minuto anche Priscilla, una specie di apparizione che dovette sembrare una bambola ai quattro di Liverpool, tutti senza accompagnatrici al seguito. Alla fine, riposti gli strumenti musicali, iniziarono a chiacchierare da vecchi amici del più e del meno: dei prossimi film e dischi, di qualche progetto per la TV, di automobili, delle avventure in tour. Elvis confessò la sua leggera paura del volo e raccontò l'aneddoto di un tremendo atterraggio d'emergenza su un biplano partito da Atlanta che aveva un motore in avaria.

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Di questa notte leggendaria restano solo ricordi e poche fotografie sfocate e caotiche, scattate all'esterno, come quella che vedete pubblicata sopra. Al di là delle mura della villa di Bel-Air nessuna immagine, nessun filmato, nemmeno una registrazione audio. Un peccato, col senno di poi. I Beatles si congedarono alle 2 del mattino: Elvis regalò loro una raccolta completa dei suoi dischi. Volevano a tutti i costi ricambiare la cortesia e insistettero a lungo per averlo ospite, una delle sere successive, nella grande casa che avevano affittato vicino Benedict Canyon: ma il Re sorrise e si limitò a rispondere: “Vedremo”. Lo storico incontro fu suggellato dai quattro autografi lasciati su un taccuino, su carta intestata. Non si incontrarono mai più.

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