30 anni fa Vasco Rossi a San Siro: un concerto che ha fatto la storia

Musica

Giuseppe Pastore

Il 10 luglio 1990 il rocker di Zocca riempiva per la prima volta in carriera lo stadio di Milano: un momento di svolta per la musica italiana, specialmente quella dal vivo

Oggi siamo abituati a dare tutto per scontato e a pensare che Vasco Rossi ci sia sempre stato, e che sia da sempre l'inimitabile sacerdote che impone felicemente ai suoi fedeli tre ore di vaschismo a tutto vapore, in barba alla carta d'identità. Invece c'è stato un giorno che ha segnato una svolta nella storia di Vasco Rossi, nella storia della musica italiana e soprattutto nella storia della musica dal vivo del nostro Paese: e oggi si festeggia il trentesimo anniversario di quel giorno, il 10 luglio 1990.

L'euforia dei Mondiali di calcio è appena passata ed è degradata in sbronza da delusione: le Notti Magiche, Maradona, Italia-Argentina, eccetera. San Siro aveva chiuso i conti con Italia '90 con una settimana d'anticipo: l'ultima partita, il quarto di finale Germania-Cecoslovacchia, era datata 1° luglio, e già poche ore dopo gli operai si sono messi al lavoro per montare il mega-palco del mega-concerto. Poteva finalmente iniziare la stagione dei concerti estivi e il primo match sul cartellone era di quelli che fanno tremare i polsi: a San Siro Vasco, a Roma (stadio Flaminio) Madonna. I giornali ricamarono sulla sfida, giocarono sulla contrapposizione tra il nuovo pop “di cartapesta” e il vecchio rock italiano, forse un po' imbolsito, rappresentato dal 38enne Vasco che in quell'estate del 1990 era tutt'altro che intoccabile: da più parti se ne sottolineava un certo declino, qualcuno lo dava per finito, un rimasuglio da anni Ottanta. Nelle classifiche delle vendite l'ultimo disco “Liberi Liberi” era andato bene ma non in modo eccezionale, perdendo il confronto con i due pesi massimi del periodo, “Oro incenso & birra” del corregionale Zucchero e “In ogni senso” dell'emergente Eros Ramazzotti. Ma se il terreno della battaglia si sposta dalla sala di registrazione alle arene dal vivo, non ce n'è più per nessuno.

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Trent'anni dopo

 

Fa una certa impressione rivedere Fronte del Palco 1990 con lo sguardo di oggi. Qualcuno ha caricato su Youtube l'intera videocassetta del concerto, aprendo il vaso di Pandora della nostalgia e della malinconia (leggete i commenti sotto il video, molti dei quali risalenti ai mesi del lockdown e dei concerti rinviati a tempo indeterminato: sono una vera madeleine di ricordi, sensazioni, persino odori di quella sera). Intanto per le ovvie trasformazioni imposte alla tribù di Vasco dal tempo che passa: nessun cellulare, tanti accendini, una quantità notevole di cappelli alla pescatora e mazzi di carte con cui ingannare l'attesa sul pratone. Ma chi è cambiato più di tutti è lo stesso Vasco, che oggi sguazza in un copione di ferro senza accusare il minimo cedimento anche su scalette extra-large, più grande di qualsiasi inconveniente, mentre all'epoca – all'esordio assoluto a San Siro, ricordiamolo, il primo di decine di concerti nello stadio milanese – sembra quasi intimorito, come una squadra in trasferta al Meazza che cerca di dosare le energie per non dare tutto subito e ritrovarsi sulle ginocchia nel secondo tempo. Dopo l'apertura riservata ai Ladri di Biciclette e ai Casino Royale, San Siro si accende davvero per la prima volta con l'ingresso in scena di Vasco, accolto da un brusio che monta fino all'esplosione: ma i primi pezzi (“Muoviti”, “La combriccola del Blasco”) sembrano persino sottotono rispetto al Vasco che siamo abituati a conoscere. Anche un capolavoro come “Dillo alla luna”, nonostante il suggestivo tappeto di accendini nella notte milanese, pare un po' trattenuto.

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Un altro Vasco

 

Il cambio di passo arriva su “Va bene, va bene così”, più o meno a un terzo di concerto, e da lì dilaga il classico fiume in piena. E su “Vita spericolata”, incastonata a metà della scaletta, si può apprezzare il tempo che è passato per noi tutti, per Vasco in particolare: il 10 luglio 1990 la canta in maniera impeccabile (quasi con esattezza da karaoke, diremmo, se non fosse che nel 1990 nessuno aveva ancora idea del termine), con affetto, attenzione, sincero trasporto, trasmettendone tutta la potenza che oggi ci sembra un po' sbiadita e ristretta dai troppi lavaggi. Sì, è un Vasco diverso: anche un pezzo grandioso come “Liberi... liberi”, generazionale al pari di tanti altri, trasmette l'immagine di un artista insicuro, fragile, dubbioso, tutt'altro che l'animale mattatore da stadio dei decenni successivi. Da “Vita spericolata” in poi Vasco non si ferma più e fa ruggire San Siro com'è capitato a pochissimi altri nei trent'anni successivi: lo stadio trema anche per pezzi minori come “Vivere senza te” e “Domenica lunatica”, antipasto dell'ultima esaltante mezz'ora. Non potrebbe essere diversamente con “Bollicine”, “Colpa d'Alfredo”, “Siamo solo noi” e “Albachiara”, anticipata dall'impressionante coro su “Canzone”.

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"Vasco uccide Madonna"

 

Insomma non una messa cantata – per esempio come il recente Modena Park del 2017 – ma la grande performance di un artista non ancora “Komandante” indiscusso e indiscutibile, ma all'epoca pesantemente messo in discussione dai giornali, dalla critica e anche dal grosso del pubblico, tutt'altro che compatto nel riconoscerne il valore. Alla fine della fiera gli unici a non avere mai avuto dubbi erano il suo popolo: l'unico rimasto disposto, nel 1990, a sobbarcarsi dieci ore di cieca e fiduciosa attesa sotto il sole di luglio per un concerto rock. Il giorno dopo i giornali commentano la sfida a distanza con Madonna con toni da partita di calcio: al Flaminio c'erano appena 20mila spettatori, meno di un terzo dei 67mila di San Siro – una platea da derby – quindi il risultato, più o meno, è Vasco-Madonna 3-1. “Vasco uccide Madonna!”, è il titolone iconoclasta sparato dal quotidiano La Notte, ma anche il resto della critica è concorde nel decretarlo trionfatore. Lui e la sua band, naturalmente: quella sera, Andrea Braido e Daniele Devoti alle chitarre, Daniele Tedeschi alla batteria, Paul Martinez al basso, Alberto Rocchetti alle tastiere, Andrea “Cucchia” Innesto al sax.

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Il 10 luglio 1990 a San Siro si scrive la prima pagina di una nuova storia. Inizia a prendere forma il mito di San Siro come punto d'approdo per legioni di musicisti, cantanti, cantautori, pop, rock, rap. Non è ancora tramontato. E nemmeno Vasco, che anzi negli anni ha aumentato a dismisura il numero di serate consecutive nella sua Scala personale: due, quattro, cinque, sei... Un Fronte del Palco sempre più esteso a perdita d'occhio, che lui domina con più certezze, a volte inserendo direttamente il pilota automatico, da navigato generale sulla collina (e non dietro – il pezzo di Francesco De Gregori verrà scelto come apertura dei due concerti di “Rock sotto l'assedio”, cinque estati dopo).

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