La valle dei sorrisi, l’horror di Paolo Strippoli tra mito e dolore. La recensione
RecensioniÈ uscito al cinema La valle dei sorrisi, horror italiano di Paolo Strippoli presentato a Venezia 82 e già tra i film più attesi della stagione. Con Michele Riondino, Romana Maggiora Vergano e Paolo Pierobon, la pellicola mescola atmosfere gotiche e paure moderne in un racconto perturbante: in un villaggio che sembra felice, un ragazzo assorbe il dolore di tutti mentre la comunità cela il proprio lato più oscuro dietro sorrisi innaturali
Recensione – La valle dei sorrisi di Paolo Strippoli
Un horror italiano che scuote Venezia 82 e arriva al cinema
La valle dei sorrisi di Paolo Strippoli, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 82 e ora al cinema in Italia, è un horror adulto e perturbante che intreccia gotico, politica e poesia. La pellicola impone fin dall’apertura una domanda semplice e feroce: quanto siamo disposti a lasciare che il dolore venga nascosto — delegato, anestetizzato, messo in vendita come una felicità di facciata? Strippoli risponde con immagini nette, rituali notturni e un’allegoria che parla al presente digitale e sociale: i sorrisi forzati diventano specchi rotti in cui si riflettono ferite mai rimarginate.
Un paese troppo felice per essere vero
Remis è un paesino incastonato tra le montagne, isolato come una favola nera e lontano da ogni tempo. I suoi abitanti sembrano sempre sorridenti, immuni alla fatica, al dolore e alla sofferenza. Una serenità sospetta, che mette i brividi più di un urlo nella notte.
È qui che arriva Sergio Rossetti (Michele Riondino), insegnante di educazione fisica tormentato da un passato mai del tutto risolto. La valle lo accoglie con un’ospitalità calorosa, quasi disarmante, che presto si rivela inquietante: dietro la gioia collettiva si nasconde infatti un rito segreto. Ogni notte gli abitanti si radunano attorno a Matteo (Giulio Feltri), un ragazzo in grado di assorbire il dolore di tutti, trasformato suo malgrado in un angelo-sacrificio, strumento vivente della comunità.
La parabola del “santo bambino” e del “maestro ferito” diventa così il cuore pulsante di un horror italiano che non rinuncia all’allegoria. Strippoli piega la materia gotica a una riflessione sul presente: quanto siamo disposti a sacrificare pur di mostrare una felicità di facciata? Quanto è autentico un sorriso che nasconde la disperazione? In tempi dominati dai social e dalla vetrina permanente delle nostre vite, La valle dei sorrisi diventa specchio e denuncia, trasformando l’horror in lente critica sul nostro quotidiano.
Approfondimento
La valle dei sorrisi, tutto sul film di Paolo Strippoli a Venezia
L’horror come metafora del presente
Già con A Classic Horror Story e Piove Paolo Strippoli aveva mostrato talento e coraggio. Con La valle dei sorrisi conferma la sua poetica: l’horror come genere libero, capace di abbracciare altri registri e affrontare i nodi della società.
In conferenza stampa a Venezia 82, il regista ha ricordato come in Italia il genere sia guardato con sospetto, quasi assente dalla produzione nazionale. Questo film diventa quindi un gesto politico oltre che artistico: riportare l’horror al centro del cinema italiano, dimostrando la sua forza e duttilità.
Il dolore, rimosso e delegato a un adolescente “angelo della valle”, è il grande rimosso della nostra epoca. I sorrisi degli abitanti di Remis non sono che maschere, immagini di un’illusoria beatitudine. Strippoli mette in scena l’incubo di una comunità che vive nel diniego costante, incapace di affrontare lutto, caduta e ferita.
Il dolore, rimosso e delegato a un adolescente “angelo della valle”, è il grande rimosso della nostra epoca. I sorrisi degli abitanti di Remis non sono che maschere, immagini riflettenti un’illusoria beatitudine. Strippoli mette in scena l’incubo di una comunità che vive nel diniego costante, incapace di affrontare il lutto, la ferita, la caduta.
Approfondimento
Venezia 82: "La Valle dei sorrisi" di Strippoli con Riondino
Attori tra sacro e profano
Il cast di La valle dei sorrisi è uno dei punti di forza del film, capace di dare carne e respiro a una parabola che oscilla tra gotico e allegoria contemporanea.
Michele Riondino, nel ruolo di Sergio, restituisce un personaggio tormentato e ambiguo, sospeso tra desiderio di salvezza e ossessione autodistruttiva. È il nuovo insegnante di educazione fisica di Remis, un uomo stropicciato dalla vita, brusco, irritante, che indossa la propria fragilità come fosse una corazza. Dietro la tuta e le magliette consunte, dietro i modi sgarbati e apparentemente privi di empatia, si nasconde un dolore antico e indicibile, che nessuna medaglia sportiva potrà mai cancellare. Un’interpretazione intensa, che rende Sergio un “maestro ferito”, specchio di un’umanità incapace di guarire le proprie cicatrici.
Romana Maggiora Vergano porta al film un’eleganza ambivalente, capace di trasformarsi in ombra al minimo mutamento di luce. Dopo Il tempo che ci vuole, torna al Lido e incanta la Mostra di Venezia 82, confermandosi attrice potente e magnetica. La sua recitazione unisce delicatezza e forza espressiva, sospesa tra fragilità e mistero, ed è il contrappunto perfetto al dolore ruvido di Riondino.
Accanto a loro, Paolo Pierobon conferma il suo immenso talento, con una presenza scenica che sa essere al tempo stesso inquietante e carismatica. Sergio Romano, Anna Bellato e Roberto Citran arricchiscono la coralità del film, incarnando i volti e i corpi di una comunità in apparenza serena ma in realtà ferita, fragile e spaventata.
E poi c’è la rivelazione: Giulio Feltri, al suo esordio, nel ruolo di Matteo. Il suo “angelo adolescente” ha un volto innocente e allo stesso tempo perturbante, un corpo luminoso costretto a farsi carico delle oscurità altrui. La sua performance cattura l’essenza stessa dell’horror di Strippoli: un sacrificio che nasce dall’innocenza, un’adolescenza che diventa rito collettivo, un dolore che diventa destino. Con questo ruolo, Feltri si impone come una delle nuove voci del cinema italiano, e la sua presenza sullo schermo resta impressa come un’epifania tra sacro e profano.
Approfondimento
La valle dei sorrisi, Il trailer del film
Ferite che non guariscono
La valle dei sorrisi non è soltanto un horror, ma una riflessione profonda sul dolore e sulla memoria. È un film adulto, perturbante, che affronta senza reticenze il tema delle ferite interiori. Anche se uno dei protagonisti è un adolescente, la parabola che Paolo Strippoli mette in scena parla a tutti: di colpa, di lutto, di traumi che restano impressi come cicatrici invisibili.
Il messaggio è chiaro e doloroso: non è vero che “ciò che non ti uccide ti rende più forte”. A volte ciò che non ci uccide ci lascia soltanto più fragili, costringendoci a convivere con ferite che non si rimarginano mai. Il cinema di Strippoli ci mostra un’umanità che sanguina in silenzio, che preferisce anestetizzare il dolore piuttosto che affrontarlo. Vorremmo tutti ricordare senza soffrire, cancellare le perdite come se fossero un file da eliminare, un farmaco senza effetti collaterali per il cervello.
Eppure il sorriso, che dovrebbe essere il gesto più autentico, qui diventa il segno della menzogna. I sorrisi forzati degli abitanti di Remis ricordano le immagini perturbanti del videoclip Black Hole Sun dei Soundgarden o il ghigno folle del Joker nella graphic novel The Killing Joke. In entrambi i casi il riso, anziché liberazione, diventa maschera di follia, abisso spalancato sull’oscurità.
In questo meccanismo alchemico di dolore e finzione, il cast diventa un coro tragico: ogni personaggio porta sulla scena una sfumatura diversa della fragilità umana. Tra tutti spicca ancora una volta Paolo Pierobon, capace di coniugare carisma e inquietudine, confermando il suo talento in un ruolo che amplifica l’atmosfera perturbante del film. La sua recitazione, unita a quella di Riondino, Vergano e del giovane Feltri, fa di La valle dei sorrisi un’opera che resta impressa non solo come horror, ma come racconto universale sul dolore e sulla sua rimozione.
L’horror come rito di passaggio
In La valle dei sorrisi l’horror non è soltanto paura o perturbazione, ma diventa rito iniziatico, percorso di crescita e trasformazione. Sergio e Matteo incarnano due poli opposti che si cercano: l’adulto ferito in cerca di redenzione e l’adolescente puro costretto a farsi carico del dolore collettivo. Nel loro incontro si riflette la dinamica universale tra padre e figlio, tra maestro e discepolo, tra chi ha già attraversato le cadute della vita e chi le deve ancora affrontare.
Paolo Strippoli costruisce così un horror italiano che parla di educazione sentimentale, di crescita e di sacrificio. L’insegnante e l’allievo diventano specchi l’uno dell’altro: Sergio ritrova nell’adolescente una possibilità di ricominciare, Matteo trova nell’adulto un riflesso del proprio destino. La valle, con i suoi sorrisi innaturali e i suoi rituali notturni, diventa allora una metafora del passaggio dall’innocenza alla consapevolezza, dal non sapere al conoscere.
Come ha dichiarato lo stesso Strippoli a Venezia 82, è nel gotico che “personaggi ordinari affrontano situazioni straordinarie”. E qui la paura è lo specchio che rivela ciò che abbiamo di più intimo e fragile: il desiderio di appartenenza, la necessità di un legame, il terrore della perdita. L’horror, in questa prospettiva, non è semplice intrattenimento ma strumento per esplorare la nostra vulnerabilità, rito di passaggio che mette a nudo il cuore della condizione umana.
Con La valle dei sorrisi, il regista conferma che il cinema dell’orrore può essere anche racconto di formazione, dove il mostro non è un’entità esterna ma il dolore che ci abita dentro. Ed è proprio in questa tensione tra paura e crescita che il film trova la sua forza, diventando tassello fondamentale di un nuovo horror italiano che sa parlare sia al pubblico popolare sia alla critica.
Approfondimento
Venezia 82, Idris Elba e Rebecca Ferguson sul red carpet
Un tassello nel nuovo cinema italiano
La valle dei sorrisi si inserisce con decisione nel panorama del nuovo cinema italiano di genere, un territorio che negli ultimi anni sta lentamente riconquistando spazio. Paolo Strippoli, con questo film presentato a Venezia 82 e ora al cinema, dimostra che l’horror può tornare a essere un linguaggio centrale anche nella nostra tradizione, non solo un’imitazione dei modelli americani.
Accanto ai lavori di Roberto De Feo (The Nest), Sydney Sibilia (L’incredibile storia dell’Isola delle Rose) e Gabriele Mainetti (Freaks Out), il film di Strippoli segna un altro passo verso la costruzione di un’identità forte e riconoscibile del cinema italiano contemporaneo. Un’identità che sappia coniugare industria e autorialità, spettacolo e riflessione, intrattenimento e visione politica.
La forza di La valle dei sorrisi è proprio questa: pur guardando al cinema internazionale – dal folk horror anglosassone alle suggestioni scandinave – resta profondamente radicato nella nostra cultura. I paesaggi montani, il culto comunitario, la riflessione sul dolore collettivo sono elementi che appartengono alla tradizione italiana, ma che qui vengono reinventati con coraggio e rigore formale.
In questo senso il film di Strippoli diventa un tassello prezioso per riportare l’horror italiano al centro della scena, dopo decenni di marginalità. Non un semplice esercizio di stile, ma un’opera che si interroga sul presente e che restituisce dignità a un genere capace di parlare al pubblico giovane, agli appassionati di cinema di paura e a chi cerca nel buio della sala una verità più profonda.
non si scherza con il sorriso
La valle dei sorrisi, presentato a Venezia 82 e ora al cinema, conferma Paolo Strippoli come una delle voci più originali del nuovo cinema italiano. Un horror perturbante, politico e poetico, che mostra come dietro i sorrisi obbligati della società contemporanea si nascondano ferite che non guariscono mai.
Se fosse un cocktail
Se La valle dei sorrisi fosse un drink, sarebbe un cocktail ingannevole: dolce in apparenza, velenoso in profondità. Un “Bloody Smile”, variazione oscura del Bloody Mary con pomodoro affumicato, vodka nera e assenzio. Sembra un aperitivo conviviale, ma al primo sorso rivela un retrogusto perturbante, proprio come la valle che non smette mai di sorridere.