El Jockey di Luis Ortega, cavalli, ketamina e identità in fuga. La recensione del film
RecensioniDal 17 luglio nei cinema italiani, El Jockey di Luis Ortega è un trip cinematografico tra noir, psicomagia e follia urbana. Cavalli battezzati Mishima, gangster mitologici, abiti rubati a vecchiette e identità liquide: il film segue la discesa e resurrezione lisergica di un fantino autodistruttivo che sfida la morte, il genere e la logica. Con Nahuel Pérez Biscayart e Úrsula Corberó in un balletto visionario tra Lynch e Almodóvar
El Jockey di Luis Ortega: quando il fantino perde le redini… e se stesso
Dal 17 luglio nei cinema italiani – Con Nahuel Pérez Biscayart e Úrsula Corberó
“Il surrealismo è la magica sorpresa di trovare un leone in un armadio dove si è certi di trovare delle camicie.” Così Frida Kahlo. Così anche Luis Ortega, che prende le camicie, ci disegna sopra dei cavalli in fiamme, ci infila dentro un uomo che si crede Maradona e lo manda a galoppare nella notte di Buenos Aires con un vestito da anziana signora. Voilà El Jockey.
Dopo il successo de L’angelo del crimine, Ortega torna a flirtare con l’assurdo, il noir, il grottesco e con il sacrosanto diritto di non dover spiegare ogni singola inquadratura. E fa centro. O forse no. Ma chi se ne importa, se il film è un circo elettrico in cui cavalli, gangster, travestimenti, whisky e ketamina danzano come in una telenovela scritta da Jodorowsky sotto acido e diretta dall Almodóvar di Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio
La trama, per chi ha ancora bisogno di un filo narrativo
Remo Manfredini – interpretato da un bravissimo Nahuel Pérez Biscayart – è una leggenda delle piste. Vince tutto, ma perde se stesso. Tra iniezioni di Ketanol, bamba e sogni ad occhi (troppo) aperti, il nostro jockey è a un passo dall’autodistruzione. Alla vigilia della corsa che potrebbe liberarlo dai debiti con il boss mafioso Sirena, Remo fa l’unica cosa coerente col suo spirito rock: si schianta.
Si risveglia, sparisce dall’ospedale, ruba vestiti a una signora e si reinventa. O meglio: prova a capire chi diavolo sia. Nel mentre, Sirena (che più che un mafioso è un presagio mitologico) gli manda alle calcagna una squadra di carnefici col ghigno da avvoltoi. Ma Remo non è più il Remo di prima. È una chimera di generi, desideri e miraggi.
Approfondimento
The Day of the Jackal, Úrsula Corberó entra nel cast della serie
Un film come un trip – e noi siamo solo passeggeri
Luis Ortega non gira, giostra. El Jockey è una corsa sfrenata che parte da Jack London (Il vagabondo delle stelle), attraversa Buñuel (Un chien andalou), fa tappa da David Lynch e arriva dritta nel cuore di un’Argentina post-identitaria, post-verità, post-tutto.
Il corpo di Remo si fa mappa, pelle su cui il film incide domande: chi siamo quando non siamo più nessuno? Cosa succede quando smettiamo di credere al nostro stesso copione? Come si mantengono luminose le mèches mentre ti insegue un killer?
Approfondimento
In fiamme, cosa sapere sulla serie TV con Úrsula Corberó
Úrsula Corberó, mèche e misteri
Nel ruolo di Abril, troviamo la magnetica Úrsula Corberó – sì, proprio “Tokyo” de La Casa di Carta – che qui però è più la volitiva regina di questo labirintico castello di carte che luna adra da heist movie. I suoi sguardi pietificano, i suoi sorrisi incantano, i suoi silenzi fanno rumore.
A fare da cornice, la fotografia nordica e rarefatta del finlandese Timo Salminen (lo storico DOP di Kaurismäki, mica cotillons). E tra i produttori? Un certo Benicio Del Toro, che se partecipa all'opera significa che il lungometraggio possiede un coté dal cult movie.
Tra lezione di psico-magia e western androgino
El Jockey è un film che gioca a nascondino con il senso. Lo trovi, lo perdi, lo insegui. Ma in fondo, come diceva Thomas Eliot, “Non sei né giovane né vecchio, ma è come se dormissi dopo pranzo, sognando di entrambe queste età.” Ortega non vuole spiegare, vuole evocare. Più che un film, è un sogno febbrile con inserti pop, cavalcate felliniane e slanci queer.
Un film che galoppa senza sella verso l’altrove. Dove tutto è possibile. Anche essere sé stessi.