Duse, recensione del film di Pietro Marcello: Eleonora rivive con Valeria Bruni Tedeschi

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Paolo Nizza

Paolo Nizza

Da oggi al cinema Duse, il film su Eleonora Duse presentato in Concorso a Venezia 82. Valeria Bruni Tedeschi interpreta la grande attrice del teatro italiano in un racconto intenso che ne ripercorre vita e mito: dagli amori agli applausi, dalle fragilità personali alla forza ribelle sul palcoscenico. Diretto con rigore storico e passione, Duse attraversa la Prima Guerra Mondiale e l’ascesa del fascismo, restituendo il ritratto vibrante di una donna e artista che ha segnato per sempre la storia dello spettacolo

Recensione di Duse: il film di Pietro Marcello su Eleonora Duse con Valeria Bruni Tedeschi

C’è una frase che ritorna, come un’eco nei corridoi del tempo: si può rinunciare alla vita stessa, ma mai alla propria natura. È questa la stella polare che guida Duse, il nuovo film di Pietro Marcello presentato in concorso alla Mostra di Venezia 82 e ora al cinema in Italia dal 18 settembre. Un’opera che non è un semplice biopic, ma un poema cinematografico sul crepuscolo e sulla resistenza, sulla fragilità e sulla grandezza di Eleonora Duse, la più rivoluzionaria delle attrici italiane, incarnata da una Valeria Bruni Tedeschi che recita non solo con il corpo, ma con l’anima stessa.

Una vita che torna in scena

Il film si concentra sugli ultimi anni della Divina, dal 1917 al 1923, tra la Grande Guerra e l’ascesa del fascismo, quando la Duse sceglie di tornare al teatro nonostante malattia, rovesci economici e affetti spezzati. Pietro Marcello trasforma questa epopea privata in un romanzo visivo: treni che attraversano un’Italia ferita, stanze illuminate come quadri impressionisti, il Milite Ignoto come simbolo di un Paese smarrito. Non è solo biografia, ma viaggio perpetuo, un treno che non si ferma mai.

“Non ho mai avuto così freddo”, sussurra il film nelle ultime battute. Duse appare su una barca, con gli stivaletti bianchi senza lacci, attraversando le secche del tempo come un’ombra decisa a tornare.

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Venezia 82, Valeria Bruni Tedeschi è Eleonora Duse in "Duse"

Valeria Bruni Tedeschi, la Divina imperfetta

Valeria Bruni Tedeschi affronta Eleonora Duse con un coraggio raro, costruendo un’interpretazione febbrile e delicata che rifugge ogni monumentalità. Non cerca di imitare la Divina, ma di entrarle accanto, quasi di respirarne i silenzi. “Ho cercato di diventare amica della Duse, di volerle bene”, ha confessato in conferenza stampa, e quella dichiarazione diventa la chiave del suo lavoro: la recitazione come gesto di empatia, prima ancora che di immedesimazione.

Sullo schermo Bruni Tedeschi oscilla di continuo tra forza e fragilità, orgoglio e resa, grandezza e caduta. Ogni sguardo sembra contenere un segreto, ogni esitazione diventa confessione, ogni sorriso un’ombra di malinconia. La sua Duse è una donna che sbaglia, che perde e che sogna, e proprio per questo risulta vera, lontana da qualsiasi aura marmorea. Non una star in cerca di applausi, ma un’anima ribelle che non vuole essere adorata, bensì compresa.

La scelta di Pietro Marcello di affidarle il ruolo si rivela vincente: Bruni Tedeschi porta con sé tutta la sua esperienza di attrice e regista, capace di fondere la sensibilità francese con la profondità italiana. In lei convivono la leggerezza e la gravità, l’abbandono e la disciplina. È un’interpretazione che restituisce la Divina non come monumento, ma come essere umano in continua battaglia con se stessa e con il mondo. Una prova che si iscrive tra le più intense della sua carriera e che, forse, segna un nuovo vertice nel suo percorso artistico.

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Venezia 82, Pietro Marcello presenta "Duse" in concorso

L’arte come resistenza

Nel film il teatro non è rifugio ma campo di battaglia. Eleonora Duse, con il suo modo rivoluzionario di recitare lontano dalla retorica, trasforma ogni gesto in atto politico: resistere al tempo, ai governi autoritari, alle malattie. Pietro Marcello costruisce intorno a questa tensione un film che evoca più che illustrare. C’è anche l’incontro con Sarah Bernhardt (Noémie Lvovsky), che invita la Duse ad abbandonare Ibsen e a confrontarsi con il presente: sfida raccolta, ma destinata a un fallimento scenico che segna ancora di più la sua grandezza.

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Duse, il film con Valeria Bruni Tedeschi oggi in concorso a Venezia

Tra mito e storia

La sceneggiatura di Letizia Russo, Guido Silei e Marcello restituisce la Duse come figura in rivolta, capace di sacrificare tutto. Centrale il rapporto con Gabriele D’Annunzio (Fausto Russo Alesi): lettere, soprannomi, regali raccontano una relazione di fusione e distanza, passione e sconfitta. Attorno a lei gravitano Memo Benassi (Vincenzo Nemolato), fragile e struggente, ed Enrichetta Marchetti (Noémie Merlant), figlia segnata da assenze e silenzi.

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Duse, il trailer e il poster del film con Valeria Bruni Tedeschi

Un’estetica sospesa

La fotografia di Marco Graziaplena, i costumi di Ursula Patzak e le scenografie di Gaspare De Pascali concorrono a creare un’estetica sospesa, che non si limita a ricostruire un’epoca ma la reinventa attraverso la lente del cinema. Le inquadrature sembrano quadri che oscillano tra la limpidezza di Vermeer e la spiritualità malinconica di Tarkovskij, con luci che scolpiscono i volti come pennellate e ombre che avvolgono i personaggi in un’atmosfera quasi sacrale.

Gli abiti scelti per Eleonora Duse non sono mai sfoggio di fasto, ma confessioni di un’anima: tuniche fluide, tessuti leggeri, eleganza disordinata che diventa simbolo di una donna distante dall’ostentazione della sua rivale Sarah Bernhardt. In questo contrasto stilistico si riflette la filosofia del film: autenticità contro artificio, verità contro spettacolo. Persino i colori – blu profondi, grigi terrosi, bianchi slavati – raccontano una vita sospesa tra fragilità e regalità.

Marcello trasforma scenografie e costumi in linguaggio drammaturgico, elementi che non fanno da sfondo ma da specchio interiore. Ogni abito sembra sussurrare i tormenti della protagonista, ogni spazio – una stanza d’albergo, un teatro vuoto, una carrozza in corsa – diventa il teatro intimo della sua solitudine. È qui che il mito si fa carne e la leggenda si traduce in materia visiva: un’estetica che non illustra, ma incanta.

Il coro intorno alla Divina

Non è un film solo sulla Duse, ma anche sulla costellazione di personaggi che la circondano. Désirée (Fanni Wrochna), amica e assistente devota, resta sempre al suo fianco, quasi un’ombra fedele che custodisce l’immortalità della Divina. E poi c’è Memo Benassi (Vincenzo Nemolato), con gli occhi bistrati, figura di struggente fragilità e tensione scenica, pronto a riflettere in controluce la grandezza e le incrinature della protagonista.

Marcello e la Divina

 

Dopo Martin Eden e Le vele scarlatte, Pietro Marcello compie un ulteriore passo con Duse: non si limita a raccontare chi fosse Eleonora, ma prova a restituirne l’essenza, a evocarla più che descriverla. “Non volevamo restituire un ritratto storico, ma la sua anima”, ha dichiarato il regista. La sua regia si muove tra documentario e finzione, tra cronaca e mito, cucendo frammenti di vita e immagini che sembrano provenire da un sogno antico. Il risultato è un’opera che non consola ma interroga, che preferisce lasciare domande aperte invece di chiudere con risposte facili. In questo risiede il gesto più radicale di Marcello: trasformare il cinema in atto d’amore e insieme di ribellione, un ponte tra la voce spezzata della Divina e le inquietudini del nostro presente.

Se Duse fosse un cocktail

Se Eleonora Duse fosse un cocktail, sarebbe un Vesper Martini: gin come disciplina, vodka come malinconia, Lillet come fragilità luminosa. Un sorso che brucia e lascia un retrogusto di eleganza spietata, come la sua voce mai registrata ma evocata in ogni gesto. Un drink che, come la Duse, non appartiene al presente: attraversa il tempo e pretende silenzio, perché ogni goccia è già un atto di teatro.

Il canto eterno di Eleonora Duse

Duse è un film che restituisce al cinema italiano la voce di una leggenda. Eleonora Duse, “la Divina”, non ha lasciato tracce sonore della sua recitazione, ma qui sembra parlare di nuovo: fragile, spezzata, indomita. È il suono di un’anima che non si arrende, che continua a viaggiare verso l’eternità. Un film che unisce mito e verità, poesia e storia, trasformando la vita di una donna in un’epica collettiva.

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