Checco Zalone e Buen Camino, un film tra padri smarriti, comicità e cammini interiori

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Checco Zalone ha presentato a Roma Buen Camino, in arrivo al cinema il 25 dicembre: un film che intreccia aspettative economiche, fragilità paterne e riflessioni sul pubblico giovane. Alla conferenza stampa era presente anche il regista Gennaro Nunziante, che insieme all’attore ha raccontato un viaggio tra ironia, spiritualità e consapevolezza industriale, specchio del presente del cinema italiano

Incassi, aspettative e la fine dell’ipocrisia

«Non è utile essere ipocriti: ci aspettiamo di fare soldi, di incassare».
Checco Zalone apre così la conferenza stampa romana di Buen Camino, il nuovo film in arrivo nelle sale il 25 dicembre, scegliendo una franchezza che è ormai parte integrante del suo personaggio pubblico. Nessuna falsa modestia, nessun alibi artistico: fare cinema popolare, oggi, significa anche assumersi la responsabilità economica di un titolo che deve funzionare.

Le aspettative sono alte, soprattutto per chi ha investito nel progetto. Zalone lo sottolinea indicando i produttori seduti in prima fila, tra cui figura anche Netflix, scesa in campo al fianco di Medusa per un film che nasce come evento natalizio ma con ambizioni più ampie. «I dati che abbiamo avuto oggi sono abbastanza confortanti», spiega l’attore, aggiungendo che i possibili futuri incassi «possono far bene a tutto il comparto», in una fase storica in cui il cinema italiano ha bisogno di locomotive capaci di trainare il pubblico in sala.

Con la consueta ironia, Zalone scherza anche sul confronto internazionale che lo vedrà “sfidare” Avatar: Fuoco e Venere. «Dovrebbe svegliarsi questo James… Cameron? Il 26 mattina e dire: ma chi c’è, Zalone?». Una battuta che strappa risate ma rivela, ancora una volta, la consapevolezza di essere diventato un riferimento industriale, oltre che comico.

Durante l’incontro, l’attore evita invece qualsiasi polemica con il suo ex produttore Pietro Valsecchi. «Gli voglio bene», dice, chiudendo la questione con una frase asciutta che sposta l’attenzione lontano dai retroscena e la riporta sul film.

Un padre che non sa di esserlo: fragilità, fallimenti e crescita

Al centro di Buen Camino c’è un viaggio verso Santiago de Compostela, compiuto insieme alla figlia, che diventa subito qualcosa di più di un semplice spostamento geografico. È un percorso emotivo, un cammino di consapevolezza che attraversa la paternità, la fragilità e l’incapacità di portare a termine le cose.

Zalone confessa di non sapere fino in fondo perché piaccia tanto al pubblico. «Quotidianamente, ogni mezz’ora penso di mollare. Sono parecchio emotivo, sento molto la tensione», racconta. Un’ammissione che sorprende e che finisce per essere traslata nel film, in particolare nel personaggio della figlia: «Una che ha preso a fare tante cose, ma ha difficoltà a portarle a termine».

Secondo il regista Gennaro Nunziante, questo tema parla direttamente alla contemporaneità: «Viviamo in una società senza padri, perché oggi non si sa più chi è l’uomo e quindi non si sa neanche perché si è padri». Buen Camino nasce da una domanda essenziale: «Quest’uomo è partito che era padre, ma non lo sapeva, e poi non ha saputo di esserlo».

Nei film firmati dalla coppia Zalone–Nunziante l’uomo viene sempre mostrato nella sua miseria e nella sua follia, ma non per essere schiacciato: «Lo si aiuta a crescere. Questo è l’elemento fondamentale», conclude il regista. La comicità diventa così strumento di racconto e di trasformazione, mai semplice evasione.

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Giovani, spiritualità e il bisogno di un racconto

Zalone guarda con attenzione anche al pubblico più giovane, partendo dalla sua esperienza familiare. «Non ho mai visto mia figlia attenta a un contenuto che durasse più di 40 secondi», ammette. L’idea di tenere dei ragazzi «scalmanati» fermi in sala per un’ora e mezza lo spaventa, anche se riconosce come i suoi contenuti funzionino, spezzettati, su TikTok e Instagram.

«Oggi mi seguono lì, ma spezzettano tutto. Anche spezzettato funziona», osserva. Eppure, Zalone rivendica una convinzione precisa: «Un film deve essere anche un racconto, deve avere una drammaturgia, un inizio e una fine». Un’affermazione che suona quasi controcorrente nell’epoca dei contenuti brevi, ma che ribadisce la centralità del cinema come esperienza narrativa.

Infine, la spiritualità, che attraversa Buen Camino senza mai trasformarsi in predica. «A 17 anni non cercavo spiritualità, volevo fare il musicista, il pianista. Poi è venuto fuori il comico», racconta. Oggi, però, l’idea del Cammino lo ha stuzzicato davvero: «Ho visto tanta gente arrivare alla fine cambiata in maniera significativa».

Forse, un giorno, Zalone rifarà quel percorso senza una troupe al seguito, dormendo negli ostelli. «Magari però un po’ più belli di quelli che vedete nel film», chiosa ridendo.
E in fondo Buen Camino sembra nascere proprio da qui: dal bisogno di raccontare che crescere, come padri, figli o spettatori, è un viaggio imperfetto, faticoso, ma ancora possibile.

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