Orfeo arriva in sala, un film che trasforma Buzzati in un sogno da vedere al cinema

Cinema
Paolo Nizza

Paolo Nizza

Orfeo, il film di Virgilio Villoresi tratto dal Poema a fumetti di Dino Buzzati, arriva nei cinema dal 27 novembre distribuito da Double Line. Presentato Fuori Concorso alla Mostra di Venezia 82 e scelto come Film della Critica dal SNCCI, è un’opera visionaria che fonde animazione artigianale, mito e sperimentazione visiva. Da vedere perché è uno dei film italiani più originali, visionari e poetici degli ultimi anni.

Ci sono film che raccontano una storia e film che ti abitano in silenzio.
Orfeo appartiene alla seconda specie: un’opera che respira con te, che si riflette nei tuoi ricordi, che ti osserva come i sogni che non hai ancora avuto il coraggio di interpretare.
Dal 27 novembre, distribuito da Double Line, l’esordio nel lungometraggio di Virgilio Villoresi torna nelle sale dopo la presentazione Fuori Concorso alla Mostra di Venezia 82.
E non arriva da solo: porta con sé il riconoscimento del SNCCI, che lo ha designato Film della Critica.

Un film che non chiede di essere spiegato:
chiede di essere attraversato.

Luca Vergoni in Orfeo - Foto di Sara Costantini

Buzzati come bussola: l’arte di trasformare un’ombra in un mondo

Il film nasce da Poema a fumetti di Dino Buzzati, la prima graphic novel italiana.
Buzzati trascinava il mito di Orfeo ed Euridice in una Milano languida, sensuale, malinconica.
Villoresi riprende quella ferita e la trasforma in visione: invece di imitare il reale, lo reinventa attraverso crepe, ossessioni, scintille oniriche.

È un cinema che non descrive: evoca.
Che non precisa: suggerisce.
Che non rassicura: incanta.

E così l’artigianalità diventa linguaggio; la pellicola 16mm diventa pelle; le scenografie costruite a mano diventano geografie dell'inconscio.

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Vinicio Marchioni sul set di Orfeo

Nato nella Fantasmagoria: uno studio trasformato in un sogno

Il cuore del film è la sede milanese di Fantasmagoria, trasformata in un teatro di posa immaginifico.
Miniature, fondali, illusioni ottiche, proiezioni in macchina: non set, ma stanze mentali.
Villoresi modella il sogno come una materia fisica, scolpita a colpi di luce, cartone, vetro e pazienza.

È un cinema che nasce dal corpo: il corpo di chi lo costruisce e il corpo di chi lo guarda.

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Foto di Sara Costantini

La villa, la porta, la scomparsa: anatomia di una perdita

Fin da bambino, Orfeo è ossessionato da una villa abbandonata.
Da adulto suona il pianoforte al Polypus, un locale che sembra sospeso tra cabaret rétro e sogno distorto.
Lì incrocia Eura: ballerina, presenza, destino.

Il loro amore è una scintilla che brucia in fretta.
Eura scompare.
Orfeo vede, dalla finestra, il suo corpo attraversare la porta della villa.
Una porta che non conduce a un luogo, ma a una soglia.

La frase chiave del film è un incantesimo:

«L’aldilà non è un luogo, è un sogno che ti osserva.»

Varcata la soglia, Orfeo precipita in un aldilà inquieto: parate di scheletri militari, figure allegoriche, presenze enigmatiche come l’Uomo Verde, la Giacca, ombre che sembrano nate da un incubo elegante di Cocteau o Švankmajer.

Foto di Sara Costantini

L’artigianato come atto poetico e politico

Villoresi non usa effetti digitali post-prodotti.
Usa vetri a 45° per evocare fantasmi.
Usa la stop-motion per animare creature che respirano.
Usa pellicola, materiali, mani.

È cinema come gesto d’amore: verso Méliès, verso l’artificio, verso la meraviglia.

Le scenografie di Riccardo Carelli e Federica Locatelli sono poesie tridimensionali.
I costumi di Sara Costantini trasformano i corpi in presagi.
Le animazioni di Ciammitti, Demicheli e Chiodi dialogano con gli attori come un incantesimo in equilibrio.

Virgilio Villoresi sul set di Orfeo

Gli interpreti: volti che vibrano come corde di un pianoforte incantato

Luca Vergoni porta in scena un Orfeo di una fragilità quasi sacrale.
Il suo volto efebico contiene la dolcezza del dubbio, la dedizione assoluta, il tremito degli innamorati che non credono mai fino in fondo di meritare la felicità. Vergoni attraversa il film come una creatura notturna: non interpreta Orfeo, lo abita. Una performance delicata e insondabile, come un pianoforte che vacilla tra pianto e rivelazione.

Giulia Maenza, con la sua eleganza magnetica, dà a Eura la grazia malinconica di un’apparizione.
Ballerina, musa, presagio: in Maenza convivono la purezza della danza, la sensualità trattenuta e la consapevolezza tragica delle figure destinate a sfumare prima del tempo. La sua Eura non è una donna: è un enigma luminoso.

Vinicio Marchioni scolpisce un Uomo Verde enigmatico e solenne, quasi un sacerdote dell’aldilà.
Voce bassa, gesti misurati, uno sguardo che sembra conoscere la direzione delle ombre: Marchioni conferisce al personaggio un’aura mitologica, una densità che non lascia scampo.

Aomi Muyock, nei panni di Trudy, è pura ambiguità scintillante.
La sua presenza è un desiderio che non si lascia nominare. Muyock porta nel film una fisicità vibrante, capace di oscillare tra erotismo e malinconia, come un segreto che non vuole essere svelato.

E poi c’è Giuditta indimenticabile apparizione.
Novella Theda Bara, incarna la giocosità e la seduzione del burlesque: un passo, uno sguardo, un gesto bastano a evocare mondi interi. È una scintilla che attraversa il film e lo illumina per un istante, lasciando nell’aria il profumo della notte.

Last but not least Angelica e Stella Mazzei, con le loro presenze gemellari e ipnotiche, portano nel film un’eleganza rituale: due figure speculari, vestite di rosso come apparizioni profetiche, che sembrano uscite da un sogno déco. L

Giulia Maenza in Orfeo

Angelo Trabace: la musica come ponte tra i mondi

La colonna sonora è un pianoforte che si arrampica sulle pareti del subconscio.
Non accompagna le immagini: le anticipa.
Le custodisce.
Le rimanda indietro come un’eco che non vuole spegnersi.

È il cuore liquido del film, il suo battito segreto.

Perché devi vedere ORFEO al cinema: 10 ragioni che brillano al buio

  1. Perché reinventa Buzzati con grazia e ferocia.

  2. Perché è cinema artigianale puro.

  3. Perché Villoresi è un poeta con la pellicola.

  4. Perché ogni dettaglio è fatto a mano.

  5. Perché l’amore tra Orfeo ed Eura è un taglio che non si rimargina.

  6. Perché le creature animate ipnotizzano.

  7. Perché la recitazione vibra di poesia.

  8. Perché lo SNCCI l’ha scelto come Film della Critica.

  9. Perché è un film che parla con le ombre.

  10. Perché certe immagini vivono solo al cinema.

Angelica e Stella Mazzei in Orfeo

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