The Voice of Hind Rajab, il grido di Gaza alla Mostra del cinema di Venezia. La recensione
CinemaPresentato in concorso a Venezia 2025, The Voice of Hind Rajab di Kaouther Ben Hania ricostruisce le ultime ore della bambina intrappolata a Gaza, la voce al telefono che implora aiuto, l’ambulanza che non arriverà mai. Nessuna retorica né pornografia del dolore: solo il pudore della realtà, trasformata in testimonianza universale. Distribuito in Italia da I Wonder Pictures, il film si impone come uno degli atti civili più radicali e necessari della Mostra, destinato a lasciare il segno nei premi e nella memoria.
Recensione di The Voice of Hind Rajab
Una voce che appartiene a tutti
Non è stata una conferenza stampa normale quella di The Voice of Hind Rajab a Venezia (DIRETTA). Non poteva esserlo. Saja Kilani, attrice del film, ha aperto con parole che sono risuonate come una sentenza: «La voce di Hind Rajab non ha bisogno della nostra difesa. Questo film non è un’opinione, ma ha salde radici nella realtà. La sua voce è quella di 10.000 bambini uccisi in due anni a Gaza».
Ed è proprio da quella voce che nasce il film. Non un racconto costruito, non una fiction, ma l’eco di un grido registrato al telefono dai volontari della Mezzaluna Rossa. Una voce che non appartiene più solo a una bambina, ma a tutti i bambini, a tutti gli innocenti che non hanno potuto salvarsi.
Otto minuti diventati otto ore
La cronaca dice che sarebbero bastati otto minuti a un’ambulanza per raggiungerla. Ma tra permessi, autorizzazioni, via libera che non arrivavano mai, le ore sono diventate otto. E non è bastato. Hind è rimasta sola, ferita, mentre attorno a lei cadeva il silenzio del mondo.
Il film traduce quell’attesa straziante in immagini essenziali: una mappa digitale, un tracciato che dovrebbe segnare la strada verso la salvezza e invece diventa la cartografia di un ultimo viaggio. Una linea che lampeggia e si interrompe, come un cuore che smette di battere.
Approfondimento
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Le 355 pallottole
Restano i numeri. Trecentocinquantacinque pallottole contro l’ambulanza che avrebbe dovuto portare soccorso. La regista non aggiunge nulla, non spettacolarizza. Appare la cifra sullo schermo, bianca su fondo nero. È più di qualsiasi immagine: è la sintesi matematica di un orrore che non si può normalizzare.
Il cinema come empatia
Perché fare un film su una storia che i notiziari hanno già raccontato? Kaouther Ben Hania lo ha spiegato in sala stampa: «Le notizie si dimenticano. Il cinema può costruire momenti preziosi di empatia, e ce n’è sempre meno. Permette di vedere il mondo da un altro punto di vista, quello dei palestinesi, e degli eroi che cercano di salvare vite affrontando ostacoli tremendi. Quando ho sentito per la prima volta la voce di Hind Rajab, era la voce di Gaza che chiedeva aiuto. La rabbia e il senso di impotenza hanno dato origine al film».
E in effetti The Voice of Hind Rajab non è mai cronaca illustrata, ma esperienza condivisa. Lo spettatore non assiste: si trova dentro quel telefono, dentro quel silenzio, dentro quell’ambulanza crivellata.
La voce di Hind
Il cuore del film è la voce della bambina. Una voce che dice: “Non mi piace niente”. Un capriccio infantile che diventa testamento. Una voce che piange, che si affievolisce, che resta come ultimo baluardo contro l’oblio.
Gli attori hanno raccontato quanto fosse impossibile considerarla finzione. Motaz Malhees, che interpreta l’uomo che risponde alla chiamata, ha confessato: «Sono palestinese, sono cresciuto nel West Bank. Ho vissuto questa vita. Sentendo quella voce mi sono sentito morire mille volte. Non stavo recitando, stavo vivendo la cosa. Ho avuto due attacchi di panico durante le riprese. Ma è una responsabilità: se non facciamo niente noi, chi lo farà?»
Destinato ai premi
C’è chi lo indica già come Leone d’Oro possibile. Ma al di là dei pronostici, The Voice of Hind Rajab trascende qualsiasi palmarès. È un film che non appartiene solo al festival ma alla memoria collettiva. E tuttavia, per la radicalità e la necessità, difficilmente uscirà a mani vuote.
Giustizia non solo simbolica
La regista lo ha ribadito con forza: «Spero che la giustizia per Hind non sia solo simbolica. Chiediamo lo stop al genocidio. Ma non sarebbe sufficiente nemmeno se ci fermassimo oggi. In un mondo ideale, vorrei giustizia per lei e tutte le vittime, ma è difficile». Sono parole che accompagnano la chiusura del film come un monito: il cinema non salva, ma può impedire di dimenticare.
Un film necessario
Alla fine resta questo: una voce infantile che chiede di essere salvata, un’ambulanza che non arriverà, una mappa che diventa diagramma di morte. The Voice of Hind Rajab non consola, non offre catarsi. È un film che lascia ferite aperte.
Distribuito in Italia da I Wonder Pictures, si prepara a scuotere pubblico e critica, non solo a Venezia ma ovunque arrivi. Perché non si tratta di un semplice film: è un atto di memoria, un grido che viene da Gaza e che non può più essere ignorato.