Mother, la recensione del film con Noomi Rapace su Madre Teresa di Calcutta

Cinema
Paolo Nizza

Paolo Nizza

Alla Mostra del Cinema di Venezia 2025, Mother di Teona Strugar Mitevska apre la sezione "Orizzonti" e porta in scena una Madre Teresa inedita, interpretata da Noomi Rapace. Non l’icona santificata, ma la donna contraddittoria, fragile e ribelle, che nel 1948 sfida il potere della Chiesa per fondare il suo ordine. Un film che affronta anche il tema dell’aborto e riflette sul presente, tra fede, libertà e la necessità di aiutare gli ultimi

C’è un bicchiere che non smette mai di svuotarsi. Dentro non ci sono ostie, ma domande. Non acqua benedetta, ma vino rosso, febbrile. Bere da Mother significa accettare che la santità non è candore, ma fiamma che brucia tra desiderio e sacrificio. Teona Strugar Mitevska, regista macedone già autrice del documentario Teresa and I, porta a Venezia 82 (La diretta della seconda giornata) un film che osa guardare Madre Teresa non dall’altare, ma dal basso, dalla carne, dalle contraddizioni.

Noomi Rapace, tra oscurità e luce

Il volto di questa Madre Teresa è Noomi Rapace: attrice che conosciamo per i demoni digitali della saga Millennium, ora trasfigurata in religiosa. La sua Teresa non è la statuina da catechismo: è febbrile, insonne, attraversata da dubbi. Rapace racconta di aver vissuto mesi con “Mother dentro di sé”, al punto da non distinguere più i propri pensieri da quelli del personaggio. Una metamorfosi che non imita, ma reinventa: questa Teresa è insieme CEO e guerriera, fragile e autoritaria, ribelle e disciplinata

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Il cuore del film: Calcutta, 1948

La storia ci porta a Calcutta, nell’agosto del 1948. Teresa, allora ancora suora del convento di Loreto, attende il permesso per lasciare il monastero e fondare il proprio ordine. Sette giorni che diventano sette cerchi danteschi, nei quali si mescolano fede e ambizione, libertà e obbedienza. Il film ci mostra una donna che chiede alla Chiesa il diritto di esistere come fondatrice, di guidare senza un uomo sopra di lei. Una bestemmia, per l’epoca.

Le contraddizioni di Madre Teresa

Mitevska non evita i nodi più controversi: la posizione anti-abortista della missionaria, i legami di potere con la Chiesa, il suo rapporto complesso con la libertà. La regista ha dichiarato che “abbiamo il diritto sacro di decidere dei nostri corpi”, e che solo affrontando apertamente il contrasto con la posizione di Teresa si poteva comprenderne la complessità. È un cinema che prende il toro per le corna: non agiografia, ma indagine, specchio, confronto

Una messa punk

Non c’è nulla di ascetico nello stile del film. La regista parla di “punk rock energy”: un linguaggio visivo che rifiuta la compostezza maschile e patriarcale per avventurarsi in un flusso di coscienza femminile. Le inquadrature diventano confessionali mobili, le strade di Calcutta un palcoscenico sporco e febbrile. Lì, dove la Chiesa cercava ordine, il cinema trova caos creativo.

Una colonna sonora che spiazza e illumina

E poi c’è la musica, vero colpo di teatro di Mother. La regista Teona Strugar Mitevska non teme il rischio di mescolare alto e basso, sacro e profano. Nel film risuonano Indie e Paradise di Anna Calvi, che donano alla pellicola una tensione febbrile, quasi erotica, un’energia indie rock che vibra come una preghiera strappata. Ma il colpo più spiazzante arriva quando le note di Hard Rock Hallelujah dei Lordi — il brano metal che vinse l’Eurovision 2006 — esplodono come un inno dissacrante dentro un racconto di fede e contraddizione. Non è ironia gratuita: è un atto di ribellione sonora che restituisce a Madre Teresa tutta la sua dimensione punk, lontana dal santino e vicina al fragore della vita.

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La sorellanza come rivoluzione

Accanto a Rapace c’è Sylvia Hoeks, che interpreta Sorella Agnieszka: due personaggi che, messi insieme, ne formano quasi uno solo, come se la santità fosse un’energia condivisa. Nikola Ristanovski è Padre Friedrich, confessore e confidente che diventa psicanalista della protagonista. In queste relazioni il film trova la sua chiave: la santità non come solitudine, ma come rete di corpi, desideri, contraddizioni.

Madre Teresa oggi

Alla conferenza stampa veneziana, Mitevska ha dichiarato che se Madre Teresa fosse viva sarebbe oggi “a Gaza, in mezzo agli spari, a consolare gli ultimi”. Una frase che toglie ogni distanza museale: il film non vuole solo raccontare il passato, ma interrogare il presente. In un mondo prigioniero del capitalismo e della violenza, la figura della missionaria diventa un invito a non smettere di donare, di aiutare, di agire.

Un film scomodo

Mother non piacerà a tutti: non è catechismo illustrato né santino da scaffale. È un film che osa rendere Madre Teresa una figura problematica, attraversata da ombre, debolezze, desideri di potere e aspirazioni di libertà. Proprio per questo, è un’opera che respira: che non chiude ma apre. È la storia di una donna che, prima di diventare icona, è stata corpo, anima, conflitto.

Il  vino e l’acqua

Alla fine della visione, resta la sensazione che la santità non sia mai stata acqua pura, ma vino rosso, sporco, imbevuto di sangue e sudore. Mother ci restituisce il sapore acre e affascinante di un mito che, come scrisse la stessa Teresa, sarebbe diventato “un santo dell’oscurità”. Un film che non canonizza, ma umanizza. E in questo gesto poetico e crudele, ci riconsegna il cinema come sacramento del dubbio.

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