Ozzy Osbourne nei film: da Morte a 33 Giri ai ruoli più divertenti e bizzarri

Cinema
Paolo Nizza

Paolo Nizza

 Ozzy Osbourne è morto il 22 luglio 2025, ma la sua leggenda vive anche al cinema. Non solo rockstar leggendaria, ma protagonista di cammei grotteschi, ironici e indimenticabili. Da Morte a 33 Giri, Little Nicky, Ghostbusters e Gangster per gioco fino a Moulin Rouge!, dove urla come la Fata Verde interpretata da Kylie Minogue. Il lato più visionario e cinematografico del Principe delle Tenebre

Ozzy Osbourne al cinema: da leggenda del rock a icona cult dei film

Ozzy Osbourne è morto il 22 luglio 2025, all’età di 76 anni, ma la sua leggenda continua a vivere anche sul grande schermo. Non solo frontman dei Black Sabbath e simbolo dell’heavy metal, Ozzy è stato anche protagonista di alcuni dei cammei più iconici, grotteschi e ironici della storia del cinema pop.

Tutti i film con Ozzy Osbourne: dai cammei horror al musical più psichedelico

Dai film horror come Morte a 33 Giri (Trick or Treat, 1986), fino alle commedie demenziali come Little Nicky o Austin Powers in Goldmember, la sua presenza ha attraversato generi, stili e linguaggi, sempre con la forza disturbante e carismatica di un vero profeta del caos.

Negli ultimi decenni, Ozzy Osbourne è diventato una vera e propria figura cinematografica. Ogni suo cameo è un frammento di cultura pop: dal metal satanico anni ’80 fino alle parodie del nuovo millennio, la sua immagine ha contaminato l’horror, il musical e persino i reboot hollywoodiani come Ghostbusters. In queste apparizioni – brevi ma indimenticabili – Ozzy interpreta spesso sé stesso, o una caricatura allucinata del suo mito. È il rock che si fa cinema. Ed è cinema che, grazie a lui, diventa più visionario, folle, immortale.

Morte a 33 Giri (1986): il cameo cult di Ozzy Osbourne in un film horror metal

In Morte a 33 Giri, film horror cult del 1986, Ozzy Osbourne firma uno dei suoi cammei più iconici. Interpreta il reverendo Aaron Gilstrom, un predicatore televisivo invitato in un talk show bigotto per denunciare la “pornografia nel rock”. Ma non si limita a parlare: tuona, accusa, si infuria. È Ozzy, ma nei panni del suo peggior nemico.

“Non credo che si tratti di umorismo… sono degli emarginati, dei malati che cercano di appestare tutto quello che li circondano. Provate ad ascoltare la loro musica: è infetta!”

Il conduttore gli mostra una copertina esplicita: Do It Like a Dog (“Fallo come i cani”). Ozzy la legge ad alta voce con indignazione, mentre scorrono versi da delirio metal:

“Il mio missile d’acciaio spingerò nel tuo tunnel dell’amore
Se spingo, spingo sempre più
Diavoli e angeli senti giù!”

Poi esplode:

“Mostri demoniaci! Dove sono finite le vecchie canzoni d’amore? Ti amo: ecco una bella parola da sentire! Invece devono scrivere cose così… Uno spettacolo ignobile!
Farò tutto ciò che è in mio potere per stroncare questa degenerazione.
Questa genìa malefica dev’essere assolutamente fermata!”

Il film, satira feroce del panico satanico anni ’80, si ribalta su sé stesso quando lo schermo televisivo impazzisce. Il fantasma di Sammi Curr — rockstar resuscitata da un vinile stregato — entra nel talk show e non uccide Ozzy, ma lo zittisce: spegne il televisore. Un gesto semplice, eppure devastante. Il moralista si dissolve nel buio, come un segnale interrotto.

È qui che Ozzy Osbourne diventa cinema: non solo attore, ma simbolo. Il censore censurato, il predicatore che brucia nella propria omelia, il profeta che scompare nella nebbia elettrica. Un cameo grottesco, ironico, profondo. Morte a 33 Giri è il suo manifesto più radicale. E questa scena, da sola, vale un posto nella storia del cinema rock.

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Gangster per gioco (1995): Ozzy Osbourne tra gangster, surrealismo e parodia americana

In Gangster per gioco (The Jerky Boys: The Movie, 1995), commedia surreale e demenziale, Ozzy Osbourne appare in un ruolo così assurdo da sembrare inventato: interpreta sé stesso, manager isterico di una band heavy metal, coinvolto in un’esibizione surreale in un club pieno di mafiosi, punk e freaks.

Quando scopre che i suoi roadie sono andati a lavorare con “i Monkees”, esplode in una battuta fulminante:

“The f***ing Monkees?!”

È un momento breve ma esilarante, dove Ozzy gioca con il suo personaggio pubblico, trasformando la rabbia rock in gag da cartone animato adulto. Il suo look — capelli neri, eyeliner, voce roca — si staglia come un’apparizione lisergica in mezzo al caos.

Il film non ha avuto successo, ma resta un documento grottesco dell’epoca in cui il rock si mescolava alla cultura pop e al trash hollywoodiano. Ozzy, ancora una volta, si ritaglia il suo spazio rubando la scena con una frase, un’esplosione, un gesto. Il rock, a volte, è davvero solo una sitcom con le chitarre distorte.

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Little Nicky (2000): il cameo demenziale di Ozzy Osbourne tra pipistrelli e leggenda rock

Nel film comico Little Nicky (2000), Ozzy Osbourne compare in uno dei suoi cammei più surreali e autoironici. Quando il villain si trasforma in un pipistrello per fuggire, ecco l’ingresso trionfale di Ozzy: lo addenta al volo e lo ingoia come se fosse un rituale demoniaco. Il pubblico esplode in una risata collettiva. Perché tutti sanno.

Quel gesto richiama uno degli episodi più famosi e controversi della carriera di Ozzy Osbourne: il morso alla testa di un pipistrello vero durante un concerto nel 1982. Una scena che ha fatto il giro del mondo, diventando leggenda, parodia e simbolo della sua follia iconica. In Little Nicky, quel gesto ritorna sotto forma di parodia affettuosa: un’autocelebrazione gotica che lo trasforma da mostro rock a mito pop.

Adam Sandler, protagonista e coautore del film, lo omaggia con tenerezza. Guarda Ozzy come si guarda un nonno pazzo che ha scritto la Bibbia al contrario. E Ozzy risponde con ironia, divorando il male come se fosse un biscotto. Un cameo breve, ma fortissimo. Perché quando Ozzy entra in scena, anche l’inferno si mette a ridere. Ed è un suono che somiglia maledettamente al rock.

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Gangster per gioco (1995): Ozzy Osbourne tra gangster, surrealismo e parodia americana

In Gangster per gioco (The Jerky Boys: The Movie, 1995), commedia surreale e demenziale, Ozzy Osbourne appare in un ruolo così assurdo da sembrare inventato: interpreta sé stesso mentre si esibisce in un improbabile club pieno di mafiosi, punk e freaks. È una scena caotica, quasi lynchiana, dove la sua immagine di rockstar estrema viene trasformata in elemento narrativo pop.

Ozzy sale sul palco con il suo look inconfondibile, tra capelli neri e eyeliner spettrale, e attacca un brano metal che fa tremare le pareti. Ma l’effetto non è solo musicale: è performativo. In quel contesto grottesco e sopra le righe, la sua presenza diventa simbolo della collisione tra cultura alternativa e trash hollywoodiano.

Il film non ha avuto fortuna, ma quel momento resta come un frammento di realtà distorta. Ozzy sembra fluttuare sopra la trama, come un angelo decaduto convocato per sbaglio a una festa sbagliata. Ed è proprio in questo errore che risiede la sua forza: nel caos, Ozzy trova sempre la scena giusta da rubare

Moulin Rouge! (2001): Ozzy è la Fata Verde che grida nel cuore della notte

In Moulin Rouge! di Baz Luhrmann, Ozzy Osbourne non appare fisicamente, ma lascia una traccia sonora che è puro delirio pop: presta la voce al grido della Fata Verde, la visione allucinatoria interpretata da Kylie Minogue. È un urlo distorto, primitivo, metallico, che emerge da un bicchiere di assenzio come un incubo barocco.

In una delle scene più celebri del film, l’assenzio prende vita e trasforma la bevuta in un viaggio psichedelico. La Fata Verde — vestita da soubrette da cabaret — volteggia come un’icona rétro tra i sogni e i tormenti degli artisti maledetti. Ma quando grida, non è Kylie a farlo. È Ozzy. È la sua voce, deformata e gutturale, a rompere l’estetica patinata del musical con una fenditura heavy metal.

Questo piccolo gesto — invisibile eppure potentissimo — è l’incontro tra mondi opposti: il glam e il dark, il melodramma e la dannazione. Ozzy diventa il demone che sussurra da dietro le quinte, lo spettro sonoro che contamina anche i sogni più romantici. Non serve vederlo: basta sentirlo. E l’urlo della Fata Verde resta impresso come una nota stonata che rende il sogno… ancora più vero.

Austin Powers in Goldmember (2002): Ozzy e famiglia nel cameo più meta-pop della sua carriera

In Austin Powers in Goldmember (2002), Ozzy Osbourne compare insieme alla sua famiglia — Sharon, Jack e Kelly — in una delle scene più ironiche e auto-parodiche del film. Sono sul divano, davanti alla TV, e stanno guardando proprio Austin Powers. Quando una battuta viene ripetuta per l’ennesima volta, Ozzy mugugna con aria stralunata:

“Again with the jokes?”

È più di una battuta: è un manifesto pop. Ozzy Osbourne diventa spettatore di sé stesso, icona consapevole e disillusa. In quel cameo, il Principe delle Tenebre si trasforma in una figura meta-cinematografica: ride della propria leggenda, ne riconosce il potere e insieme lo svuota.

La scena gioca con l’estetica dei reality — quelli che avevano trasformato gli Osbourne in una sitcom vivente — e la mescola con il cinema comico più surreale. Il risultato è una presenza breve, ma potentissima: un cameo che non serve a raccontare Ozzy, ma a mostrarlo mentre osserva il mondo che lo ha reso icona. È l’heavy metal che si guarda allo specchio. E sorride.

Ghostbusters (2016): Sharon, c’è un fantasma!

Nel reboot tutto al femminile di Ghostbusters (2016), firmato da Paul Feig, Ozzy Osbourne compare in un cameo breve ma iconico. Siamo a un festival metal invaso da fantasmi: luci psichedeliche, caos digitale, urla ultraterrene. E in mezzo a tutto questo, Ozzy — nei panni di sé stesso — guarda il pubblico con aria spaesata e grida la frase che lo ha reso una leggenda televisiva:

“Sharon!”

Il pubblico esplode. È il richiamo perfetto a vent’anni di reality show, risse domestiche e pipistrelli decapitati. Una battuta che da sola evoca tutto il suo immaginario: tra isteria rock e sitcom demoniaca. Ma il vero colpo arriva nella versione estesa del film, dove Ozzy aggiunge una stoccata micidiale:

“Wankers! Lo facevamo già noi nel ’74!”

Una frecciata ai nuovi Ghostbusters, alla nostalgia, ai reboot stessi. Ozzy non si limita a partecipare: sfonda la quarta parete, irride la reverenza e ricorda al mondo chi ha davvero iniziato a evocare il male — in musica, sul palco e nella cultura pop. È un cameo meta-cinematografico, che racchiude tutto il suo spirito tra rock, sarcasmo e inferno digitale.

Ozzy Osbourne, il fantasma che resterà sullo schermo

Ozzy Osbourne è morto il 22 luglio 2025, ma la sua ombra continua a risuonare — tra vinili graffiati, urla distorte e apparizioni cinematografiche fuori controllo. È stato molto più di una rockstar: è stato una visione, un’icona capace di attraversare l’inferno del palco e la finzione dello schermo con la stessa furia dolente di un profeta borderline. Ha recitato in film horror, commedie demenziali, musical barocchi. Sempre interpretando sé stesso. O meglio: interpretando il mito che il mondo aveva costruito attorno al suo nome.

Sul palco ha lasciato urla. Al cinema, echi. Ozzy non si è limitato a vivere la sua leggenda: l’ha incarnata in ogni cameo, ogni grido, ogni risata disturbante. Come un demone che non ha bisogno di effetti speciali. Come un fantasma che, invece di sparire, si stampa nell’inquadratura.

E ora che se n’è andato, resta il suono. Resta l’immagine. Resta il cinema. Perché il rock, come i veri mostri, non muore. Si reincarna. In un riff, in un urlo, in una battuta detta nel buio.

 

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