David Lynch, addio al visionario regista di sogni e incubi che hanno cambiato il cinema
Cinema ©GettyCi ha lasciati all’improvviso “Il James Stewart venuto da Marte”, come lo aveva soprannominato Mel Brooks, che aveva prodotto Eraserhead il suo primo, abbacinante lungometraggio. Un demiurgo surrealista, un ineffabile costruttore di mondi che ci ha incantato con le sue visioni; da Twin Peaks a Cuore selvaggio, da Velluto blu a Mullholland Drive, da Strade Perdute a Elephant Man
Già ci manchi David Lynch, genio gentile nato a Missoula, il 20 gennaio 1946. Eravamo già pronti a festeggiarti. E invece, come spesso capita se si guardano i tuoi capolavori ci hai sorpreso, lasciato interdetti. Ci hai lasciato, all’improvviso, a 78 anni. Non ci si crede. Forse i “gufi non sono quello che sembrano, magari adesso ti stai gustando un pancake con sciroppo d'acero e una fetta di prosciutto appena scaldata, un caffè caldo e molto zuccherato. E noi, rubando le parole a Monica Bellucci, “Siamo come il sognatore che sogna e vive dentro al sogno: ma chi è il sognatore? “Perché Twin Peaks ha cambiato tutto e le tue opere ci hanno insegnato a vedere ciò che è nascosto. La realtà è come un iceberg. Per citare uno dei tuoi tanti folgoranti aforismi. “Noi sappiamo che quello che appare fuori dall’acqua è solo una parte molto piccola di tutto il resto”.
Dai cortometraggi a Eraserhead - La mente che cancella
E’ uno sterile esercizio elencare le tue opere uniche, mirabolanti, magiche. Persino, quando ti hanno messo i bastoni tra le ruote (e che bastoni, mica il ceppo della celeberrima signora) come in Dune sei riuscito a stregarci, ammaliarci, manco fossi la spezia made in Arrakis. D’altronde già dai cortometraggi, si capiva che ci vedevi lungo, The Alphabet (1968) e The Grandmother (1970) si stagliano parimenti a titani nell’empireo della sperimentazione. Dispiace per gli altri, ma nessuno era come te. Al tuo esordio lungo, ovvero Eraserhead, hai rischiato di perdere la trebisonda. Ti sei giocato pure la camicia per finirlo. Dormivi di nascosto sul set, tra continui rinvii, ritardi e ingiunzioni. E il risultato è un’opera che va vissuta piuttosto che spiegata. Hai sempre ribadito che per i messaggi c’è l’ufficio postale. Ed è impossibile darti torto. Sono passati quasi cinquant’anni, eppure quella “signora del radiatore", ancora bazzica, impertinente, il mio inconscio. Perché tutto il tuo cinema permane nel cuore e nel cervello degli spettatori. Alchimista frugale, sacerdote laico della meditazione trascendentale ci hai trascinato in una vertigine di suoni e visioni indimenticabili. E, inarrivabile David Lynch, te ne saremo grati in eterno.

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Un cuore selvaggio su un Velluto Blu
Ogni volta che guardo Elephant Man piango parimenti a un bambino. E quanto è in debito con te un horror rivoluzionario come The Substance. Nessuno ha abbracciato l’abisso con il tuo coraggio e il tuo talento. Eppure, non sei mai stato un esangue poseur nichilista. Con Velluto blu hai generato uno dei villain più terrificanti della storia del cinema, ovvero Franck Booth, interpretato da un’inarrivabile Dennis Hopper, e al tempo stesso hai fatto cantare al compianto Dean Stockwell, una soave A candy colored clown. Eri l’alpha e l’omega. Tant’è che nel 1990 hai vinto pure la Palma d’oro al Festival di Cannes. Il tuo protagonista, uno straripante Nicolas Cage, sfoggiava una giacca in pelle di serpente: "il simbolo dell’individualità e la mia fede nella libertà personale". Dolce come lo zucchero filato, sfizioso come la gonna di Marilyn Monroe sollevata da un getto d’aria, Cuore Selvaggio è un catalogo delirante di idoli, amuleti, talismani pop destinati a bruciare al calore delle fiamme della passione combustibile consumata tra Sailor e Lula.

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Twin Peaks, ovvero il Fuoco cammina con David Lynch
Come Gatsby, sei poi tornato al passato e hai detto, "Alla fine del feuilleton, ho provato una sorta di tristezza, non mi risolvevo più a lasciare il mondo di Twin Peaks. Ero innamorato del personaggio di Laura Palmer, delle sue contraddizioni: radiosa in superficie, moribonda dentro di sé. Avevo voglia di vederla vivere, muoversi, parlare”. Sicché con Fuoco cammina con me, ti sei preso il rischio di filmare l'Es e i suoi fantasmi, di catturare il desiderio con una trappola a 24 fotogrammi al secondo. Certo, non siamo di fronte a un esperimento completamente riuscito, ma bastano la scena in cui Laura e suo padre restano fermi davanti a un semaforo con la loro auto o la sequenza del bordello canadese perché il lungometraggio assurga alla dimensione di un autentico cult movie. Come direbbe Miss Laura Palmer: "Per qualche minuto non sentirai niente di niente, alla fine però prenderai fuoco!”

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Attraverso Strade perdute
Nel 1997, in barba ai pedanti critici, scegli di percorrere Strade perdute. La Crime Story si apre e si chiude con la frase “Dick Laurant è morto", che qualcuno pronunciò davvero al citofono di casa Lynch. Ma l'alfa e l'omega si confondono in questa pellicola in cui Il Doppelgänger danza con La donna che visse due volte di Hitchcockiana memoria. Una vertigine di sesso e morte, con un uomo misterioso, ubiquo e malvagio, una casa in fiamme nel deserto, un sassofonista geloso a cui non piacciono le telecamere, una femme fatale bionda e/o mora, che nessuno avrà mai. Con la perizia di uno Chef seguace della cucina molecolare, la pellicola destruttura la tradizione del cinema noir miscelando la battuta maschilista da trivio ("ha visto più f... di una tazza del cesso") con il senso di colpa che alberga nei film di Fritz Lang. Il regista centrifuga il topless della Arquette con l'eterna lotta fra pulsione sessuale e pulsione di autoconservazione svelata da Freud, con la complicità di una colonna sonora da ascoltare a loop, tra This magic moment di Lou Reed a The Perfect Drug dei Nine Inch Nails.
L'arte è più forte della morte
Tra l’homeless di Mullholland Drive, forse uno dei personaggi più terrificanti mai apparsi sul grande schermo e la sitcom con i conigli dall'aspetto umano che si manifesta in Inland Empire – L’impero della mente, ci lasci ancora una volta senza fiato. Perdona lo sciocco calembour, ma ancora una volta linci la realtà. Sei venuto al mondo quasi 78 anni fa, ed era già uno strano mondo. Una misteriosa e minacciosa arcadia americana, fatta di foreste e insetti, luce e ombra. Tuo padre, ricercatore impiegato presso il ministero dell'Agricoltura, ti portava spesso a spasso per i boschi. Un giorno ti sei ritrovato a osservare un vecchio albero di ciliegio. Dalla corteccia colava della resina e intorno si agitavano delle formiche. Hai fissato questa cosa viva per ore. Per te "Era come guardare la televisione". E di questa materia cangiante, gelatinosa, pericolosa è fatto il tuo cinema. Si tratta della "materia di cui sono fatti i sogni", direbbe il Duca Prospero immortalato da William Shakespeare nella Tempesta. E la tua arte è più forte della morte. Tant’è che mi pare di vedere palesarsi Glinda la strega buona del Mago di Oz, mentre Elvis canta Love me tender. Nessun posto è come casa. E il cinema sarà per sempre casa tua, David Lynch visionario regista di sogni e incubi, mentre noi sparuti e sperduti, simili a Rita e Betty, versiamo lacrime nel club Silencio e ci perdiamo nella voce di Rebekah Del Rio che sviene cantando in spagnolo Crying di Roy Orbison. ¿No me quieres ya? Y siempre estaré llorando por tu amor llorando por tu amor...."
