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L'ultimo drink, la recensione del film di Goller in uscita al cinema

Cinema

Paolo Nizza

Arriva nelle sale, distribuito da Wanted Cinema, una riuscita commedia drammatica, ad alta gradazione alcolica, diretta da Markus Goller, ad alta gradazione alcolica. Un film che affronta responsabilmente, ma senza moralismi o crociate contro la cultura del bere, il rapporto quotidiano con l'alcol e di come viene percepito nella società attuale. Con un empatico e travolgente protagonista, Frederick Lau

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A Berlino che giorno è, cantava Garbo nel 1981. Nel film distribuito da Wanted Cinema è L’ultimo Drink l’orologio che scandisce la vita dell’ebbro protagonista. Sicché sovente il tempo annega, e le ore ubriache confondono il giorno con la notte. Nelle sale cinematografiche a partire da giovedì 17 ottobre, la pellicola affronta un tema rischioso, complesso e molto attuale: quando un piacere si trasforma in dipendenza? Come ci accorgiamo che l’ebbrezza teorizzata da Baudelaire si trasfigura in patologia? Ma la forza della pellicola è dribblare con classe la storia dell’etilista dolente in cerca di redenzione, in fondo all’ennesimo calice. Dopo Giorni perduti di Billy Wilder (4 premi Oscar) e il monologo del titano Ray Milland. “Sono al di sopra di tutto, mi sento bravo, molto bravo. Cammino su una fune sopra le cascate del Niagara. Sono Michelangelo che modella la barba di Mosé”, il tuo lungometraggio può essere solo un vuoto a perdere. E non puoi nemmeno giocarti la carta della modica quantità, perché in virtù di quel deficit da alcol pari allo 0,05%, Thomas Vinterberg ha fatto Un altro giro, e ha portato in Danimarca la statuetta per il miglior film straniero. Ecco come lo sceneggiatore Oliver Ziegenbalg ha trovato l’ingrediente giusto, la ciliegia nel Manhattan: “Non volevo farne un dramma puro. È già stato fatto diverse volte e non è proprio il mio stile di scrittura. Quindi ha lavorato seguendo i suoi ricordi e i sentimenti che ha riguardo a quel periodo precedente della sua vita. La vita va avanti, bevi e festeggi, nessuno penserebbe che ci sia qualcosa che non va, e impercettibilmente, senza che te ne accorgi, ti trovi bloccato nella situazione e realizzi: c'è un problema con l'alcol dopo tutto. "Accade senza preavviso, ci scivoli dentro. Ecco esattamente come dovrebbe essere il nostro film”. E il regista Markus Goller aggiunge le gocce di angostura: "Il tema dell'alcol è ovunque. Anche se non sei direttamente coinvolto tu stesso, tutti conoscono qualcuno nel tuo cerchio di conoscenze, amici o ambiente più ampio che beve troppo. È incredibile da quando ci muoviamo con questo e parliamo con la gente a riguardo: tutti sanno qualcosa a riguardo, dalle loro esperienze, dalla famiglia o dagli amici..."

Tra sbronze e hangover

“Io bevo per la sete che avrò.” Scriveva François Rabelais.  E in effetti, Markus, talentuoso capocantiere edile, nonché  personaggio principale di L’Ultimo drink, pare avere una arsura pantagruelica. Ma esclusivamente di vino, birra, cocktail e distillati. Un perpetuo bicchiere della staffa. E tra sbronze ed hangover, l’uomo rischia di specchiarsi nell’aforisma del drammaturgo e scrittore irlandese, drammaturgo Brendan Francis Behan. “Un drink è troppo per me, e un migliaio non sono abbastanza”. Dopo la consueta notte brava, l’amichevole barman di quartiere congeda l’avvinazzato crapulone con un bonario:” Torna a casa intero”. Tuttavia sulle note dell’immortale “I Heard It Through the Grapevine”, come uno Scherzo del destino in agguato dietro l'angolo viene fermato dalla polizia e la patente gli viene ritirata. Impedito negli spostamenti e nel lavoro, Mark scommette con il suo migliore amico Nadim che non berrà alcol fino a quando non gli verrà ridata la patente, ma non ha considerato di incontrare la "complice" Helena, con la quale inizia una relazione sventatamente tossica. La convinzione di Mark di tornare velocemente  in riga dopo uno sbandamento subitaneo si scontra con la progressiva presa di coscienza di avere un problema con l’alcol molto più serio di quanto immaginasse. Il suo mondo va in frantumi. Non resta quindi che comprendere quanto sia necessario cercare un aiuto. 

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Una colonna sonora che inebria

“Vivo una vita sana che non mi piace un granché e siccome non mi piace sono irascibile e siccome sono irascibile litigo”. Così Mark spiega il suo “ramadrink” il suo periodo di disintossicazione dagli alcolici a una schidionata di ragazzini che beffardamente risponde: "Allora non la vogliamo una vita sana”. E’ una delle scene più esilaranti di L’Ultimo Drink. Perché una risata può seppellire pure una dipendenza. Cadenzata da una colonna sonora da urrlo che passa da Gangsta Trippin di Fat Boy Slim a Where is my Mind dei The Pixies, da Love will Tear us Apart dei Joy Division a Place to be di Nick Drake, la parabola di uomo che cerca di fare pace con i propri demoni diverte ed emoziona. Senza demonizzare, né precipitare nell’indulgenza, il film è una rappresentazione realistica di una patologia che funziona soprattutto, grazie a Frederick Lau. Sono passati 26 anni dal suo strepitoso esordio nel ruolo di Tim in L’Onda. E ora nel pieno della maturità l’attore tedesco mostra tutto il suo talento. Sarebbe credibile anche nel ruolo di Noè, che diceva spesso a sua moglie, quando si sedeva a tavola: "Non m'importa".

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