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Il tempo che ci vuole, Francesca Comencini tra il cinema e la vita. La recensione

Cinema

Paolo Nizza

©Getty

La cineasta firma una lettera d''amore nei confronti di suo padre Luigi,  il grande regista della commedia all'italiana e delle "Avventure di Pinocchio". Un commovente lungometraggio autobiografico che mescola privato e pubblico, immaginazione e realtà. Interpretato da  Fabrizio Gifuni e Romana Maggiorana Vergano, il lungometraggio arriva nelle sale cinematografiche da giovedì 26 settembre

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“La vita è poliedrica, ha tante facce e ci sono mille modi di raccontare un fatto.” Così scriveva Luigi Comencini, maestro del cinema italiano, autore di opere come Pane Amore e Fantasia, Un ragazzo di Calabria, Incompreso. E Il tempo che ci vuole, presentato fuori Concorso alla 81.ma Mostra del cinema di Venezia è un omaggio al grande cineasta firmato dalla figlia Francesca. Ricordi dal set, episodi dolorosi o felici, avvenimenti storici si mescolano in un caleidoscopio di emozioni. Una pellicola estremamente personale, ma in grado di arrivare a tutti. Un’opera che manda ko l’immaginazione al potere per illustrare, tra finzione e realtà il rapporto affettuoso e complesso, fatto di incontri e scontri, risate e lacrime. Il lungometraggio arriva nella sale cinematografiche italiane a partire dal 26 settembre

LA TRAMA

Alla piccola Francesca piace il personaggio di Lucignolo. In fondo non è cattivo, vuole solo essere libero. Perché, per citare le parole di Mangiafuoco: “Bada bambina, non ti fidare troppo di chi sembra buono e ricordati c’è sempre qualcosa di buono in chi sembra cattivo”. Tra Nicola Di Bari che canta il cuore è uno zingaro, Rocky Roberts che intona Stasera mi butto, la balena Goliath esposta a Piazza del popolo, la strage di Piazza Fontana a Milano, il Tempo che ci vuole ci trasporta sul set di Le Avventure di Pinocchio. Lo   sceneggiato televisivo tratto dall'omonimo romanzo di Carlo Collodi ci ricorda che per Luigi Comencini veniva prima il cinema della vita. Ed è proprio la vita a entrare in scena a gamba tesa. Il film ci mostra Francesca cresciuta e intenta a dipingere un murales con il motto “Colpirne uno per educarne cento delle Brigate Rosse nel sequestro Macchiarini. Sono gli anni di piombo e pure il rapporto tra padre e figlia si fa plumbeo. Cadenzata da La Moldava, il poema sinfonico di Bedřich Smetana, arriveranno i giorni dell’amore e le notti della dipendenza, le bugie e l’eroina, i sogni perduti e l’overdose dell’amato. E infine, la fuga a Parigi insieme a papà, la rinascita e la bellezza di girare un film insieme. Certo, si può fallire, fallire meglio, ma alla fine il cinema ti può salvare davvero, E questo vale per Francesca e per Luigi.

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Il cinema salva la vita

Dal Pinocchio del 1911 con Polidor all’Atlantide di Pabst del 1931 con Brigette Helm, Il tempo che passa è un appassionato ed emozionate omaggio alla settima arte. D’altronde Luigi Comencini salvò e conservò diverse pellicole dalla distruzione, poi donate alla Cineteca di Milano. La memoria del passato ci aiuta a comprendere il presente. E le immagini di Francesca vincitrice nel 1984 del premio Vittorio De Sica alla Mostra del Cinema di Venezia, con Pianoforte, opera fortemente autobiografica, dimostrano quanto il film possano risultare terapeutici e intimi e al tempo stesso, compresi e apprezzati da tutti. E in fondo è questo il senso di Tempo che ci vuole. Come ha dichiarato la stessa regista." Le immagini partono dai ricordi e come i ricordi hanno una amplificazione di alcuni segni salienti e la cancellazione di altri. Immagini scarne, in cui non c’è quasi niente tranne loro due e in cui il segno che è presente ha sempre qualcosa di esagerato: se qualcosa è grande è molto grande, se è lontano è molto lontano, se c’è un raggio di luce è molto luminoso, se qualcosa è vicino è molto vicino.” Ma se il lungometraggio funziona, il merito è anche dei due protagonisti. Fabrizio Gifuni è assolutamente credibile nei panni di Luigi. Romana Maggiora Vergano, dopo l’ottima performance in C’è ancora domani, è una Francesca fragile e forte al temo stesso. Ed è impossibile non commuoversi quando padre e figlia si ritrovano a Napoli sul set del remake di Marcellino pane e vino. La settima arte ha il potere di unire ciò che la realtà, solo  apparenza, ha diviso. Basta concederle il tempo che ci vuole.

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