Beetlejuice Beetlejuice di Tim Burton, la recensione del film di apertura di Venezia 2024

Cinema
Paolo Nizza

Paolo Nizza

Una magnifica follia schiude le porte del Lido. Un’opera in cui tracimano fantasmagoriche, irriverenti e lisergiche tutte le visioni del regista americano. Da Michael Keaton a Winona Ryder, da Monica Bellucci a Jenna Ortega, da Willem Dafoe a Justin  Theroux, una danza festosamente macabra nelle sale cinematografiche dal 5 settembre

Dal Leone d’oro alla carriera (datato 2007) al ritorno dello “spiritello porcello”. Al lido, Tim Burton gioca in casa, pure se si tratta di una Ghost House. Sicché, chapeau alla Biennale per aver selezionato Beetlejuice Beetlejuice, sequel della pellicola del 1988 che arriverà al cinema dal 5 settembre, per schiudere le porte della 81.ma edizione della Mostra del Cinema di Venezia (SEGUI LA DIRETTA). La bontà dell’idea la si percepisce sin dai titoli di testa: quando il logo di Warner vira verso il bianco e nero scatta l’applauso durante la proiezione riservata alla stampa. Così a distanza di 35 anni, dopo aver rifiutato di girare i sequel di Edward Mani di Forbice e Nightmare Before Christmas, Burton ci delizia con questa scatenato luna park in cui è meraviglioso ed esilarante perdersi. Perché alla fine, aveva ragione Ingmar Bergman: "Il film, quando non è un documentario, è un sogno”. Oppure un incubo spassoso, se dietro la macchina da presa c’è l’anticonformista Tim.

Una danza contro il conformismo

Tutto il cinema di Tim Burton è un cinema di perdita, di sconfitta e, talvolta, di riscatto, Novello Don Chisciotte, il regista combatte con le armi dell’immaginazione il conformismo, l’ipocrisia color pastello della presunta normalità e pure certi corrivi produttori di Hollywood senza testa come il villain di Sleepy Hollow. Da Enfant Prodige ad Anzian Prodige, il regista nato il 24 agosto del 1958 continua a mixare brividi e risate perché noi esseri umani siamo fatti di paura e desideri. In fondo i morti sono più vivi dei vivi, talvolta. Ed è proprio questo la malia di Beetlejuice Beetlejuice. Un sequel in cui il passato balla, frenetico e appassionato con il presente. Banana Boat Song di Harry Bellafonte sfuma in MacArthur Park di Donna Summer. Eppure, si resta, altresì, deliziati. Per non parlare dell’immaginifica scena del Soul Train, in cui il film rende omaggio alla musica dell’anima e pure se si è alieni a a qualsiasi danza in uso nel globo terracqueo, è impossibile non battere il tempo con il piede.

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Beetlejuice Beetlejuice è una saga familiare, però in trip. Tre generazioni di casa Deetz tornano nell'immaginaria contea di Winter River, nel Connecticut. Lydia conduce un programma televisivo sui fantasma ma lo spiritello porcello non smette si sfrugugliarla. La donna ha una figlia, Astrid, outsider colta, preoccupata per il riscaldamento climatico e assai sola. Come sovente accade, il diavolo, o chi per lui, ci mette lo zampino e il portale per l’aldilà viene fortuitamente aperto. I problemi si moltiplicano sia nel regno dei vivi sia in quello dei morti. E puntuale come la ciliegina in un cockail Manhattan, qualcuno ha la pessima idea di pronunciare per tre volte il nome di Beetlejuice. E il caos si scatena.

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Dall'omaggio a Mario Bava al cast

È meraviglioso che Tim Burton, regista conosciuto e amato in tutto il mondo, renda omaggio in Beetlejuice Beetlejuice a Mario Bava, che invece non ha avuto tutti i riconoscimenti che avrebbe meritato. La maschera del demonio si palesa in questo vertiginoso sequel in una stupenda sequenza in bianco e nero. E Monica Bellucci, risulta una perfida e voluttuosa villain, che pare uscita da un fotogramma del gotico cinematografico italiano. Applausi pure per Willem Defoe, il capo dell'Unità Crimini dell'Aldilà con un passato da attore, per Jenna Ortega che interpreta la figlia sedicenne di Lydia nonché nipote di Charles e Delia Deetz, e per Justin Theroux, manager e fidanzato di Lydia. Parimenti Michael Keaton, Winona Ryder e Catherine O’Hara tornato con stile ed efficacia a vestire i panni dei personaggi del lungometraggio datato 1988. Quindi non resta che godersi lo spettacolo: “It’s Show Time”. E mi raccomando niente telefoni accesi e selfie quando siete al cinema, altrimenti se vi pizzica Beetlejuice son dolori.

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