Chi era Bombolo, alias Franco Lechner. Il figlio dell'attore: "Non sapeva leggere"

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Alessandro Lechner ha ricordato il padre, attore dei poliziotteschi e delle commedie sexy degli anni Settanta e Ottanta, dalle umili origini all'amore per la tavola e per la compagnia, fino agli scherzi di Pippo Franco al Bagaglino e all'affetto di Tomas Milian

“All’inizio faceva fatica a studiare i copioni, anche semplici. Perché non sapeva leggere, non bene. A casa dovevamo aiutarlo”. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, Alessandro Lechner, 56 anni, tecnico del gas e uno dei tre figli di Franco, il celebre Bombolo dei poliziotteschi e delle commedie sexy degli anni Settanta e Ottanta, ha ricordato il padre, scomparso nel 1987. Nato nel 1931 a Roma in una famiglia povera, tanto che da bambino dormiva nel cassetto del comodino, e orfano di madre, morta di parto al quinto figlio, Franco aveva lasciato la scuola all’età di otto anni e aveva intrapreso l’attività di ambulante, proprio come il padre. Da ragazzo, per impressionare le fanciulle, si tuffava nel Tevere con gli amici dal ponte di Castel Sant’Angelo, ma da sempre si portava dietro il soprannome di “Bombolo”, un appellativo in ricordo delle fattezze rotonde dell'infanzia ed ispirato alla canzoncina che faceva “era alto così, era grosso così, lo chiamavan Bombolo”. Franco amava la tavola e le risate in compagnia: “Si fermava a mangiare alla taverna di Picchiottino. Tra un bicchiere e una pietanza, con gli amici del rione, improvvisava delle scenette. Uno scherzo tirava l’altro. Doveva venire a prenderci a scuola alle quattro, si presentava non prima delle sei”, racconta Alessandro. Se una volta, durante una gita scolastica alle Fosse Ardeatine e al santuario del Divino Amore, Franco aveva dirottato il figlio e altri suoi tre amichetti in una trattoria per mangiare un piatto di carbonara e bere un bicchiere di vino, un’altra volta aveva accolto la fortuna che aveva bussato proprio alle porte della sua taverna prediletta. “Castellacci e Pingitore un giorno capitarono in quell’osteria. Lo notarono e gli lasciarono un numero di telefono su un foglietto. “Ci chiami, ha la faccia giusta per il cinema, un talento naturale”. Papà se lo dimenticò nella tasca dei calzoni, lo trovò mamma. Lui non voleva richiamare, lo fece lei al posto suo”, racconta Alessandro. Dopo essere stato assoldato per i primi due film, rispettivamente Remo e Romolo, dove aveva la barba e guidava la biga, e Nerone, dove interpretava l’antico romano Roscio sempre affamato di “pasta e facioli”, Franco era stato scritturato per il Salone Margherita. Nonostante le iniziali difficoltà nella lettura dei copioni Franco, che nel periodo iniziale della carriera aveva anche mantenuto il mestiere di ambulante, “con gli anni diventò più bravo, riusciva ad imparare a memoria dialoghi lunghissimi, non sa quanto ne andava orgoglioso. E in locandina il suo nome compariva in alto, accanto a quello di Oreste Lionello”.

GLI SCHERZI DI PIPPO FRANCO E L'AFFETTO DI TOMAS MILIAN

Spalla di Pippo Franco, che architettava per lui scherzi goliardici (“era un continuo. Cinque minuti prima di entrare in scena, al Bagaglino, gli metteva il sapone nelle scarpe. O gli cambiava le scene senza avvisarlo. Papà si appuntava qualche battuta sulla parete dietro le quinte, gliele cancellava”, racconta Alessandro), Bombolo era apparso anche in diverse commedie sexy con Lory Del Santo, Annamaria Rizzoli e Nadia Cassini e aveva interpretato il ladruncolo Venticello nella serie cult di polizieschi-comici Nico Giraldi, l’ispettore interpretato da Tomas Milian che nella finzione lo prendeva sempre a ceffoni ma che, nella realtà, gli voleva bene. “Tornato a casa diceva: "E anche oggi, per guadagnare ‘sti du’ quatrini, me sò preso quattro pizze ‘n faccia”", ricorda Alessandro. Il ruolo di Ricciotto ne Il marchese del grillo di Mario Monicelli e con Alberto Sordi, invece, era sfumato perché Franco “forse era troppo riconoscibile”.

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LA PASSIONE PER LA VITA

Franco ha sempre mostrato una viscerale passione per la vita. In occasione di una trasferta di calcio, Alessandro aveva perso di vista il padre in un autogrill perché “si era fermato ad un matrimonio lì vicino, al ritorno lo trovai a tavola che brindava con gli sposi e la torta”. Mentre girava un film in Grecia, invece, “mise in scena un finto matrimonio”. Ancora, dopo la finale dei Mondiali del 1982, sceso in strada per festeggiare, “la gente gli corse dietro. Fu caricato su un camion e portato in carosello a Piazza del Popolo, tornò alle quattro di mattina”. Il figlio aveva ricevuto dal padre un prezioso insegnamento: ““Apprezza quello che hai e non guardare davanti a te, ma dietro: c’è sempre chi sta peggio di te””. L'unico freno allo sguardo verso il futuro, per Franco, sarebbe stato un male che, 37 anni fa, era giudicato incurabile. Alessandro conserva un ultimo, dolce ricordo del padre: "Era uscito dall’ospedale il giorno del mio compleanno, il 12 agosto. Stavamo a tavola, era provato. “Guarda che festa brutta che hai avuto”. “No, papà, per me è la più bella, perché sei a casa con me”. Ci mettemmo a piangere tutti e due. Nove giorni dopo è morto".

 

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