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Mostra di Venezia, Enzo Jannacci - Vengo anch'io. La recensione del film documentario

Cinema

Paolo Nizza

Giorgio Verdelli firma un capolavoro, che uscirà al cinema l’11, il 12 e il 13 settembre. Da Vasco Rossi a J-Ax, da Diego Abatantuono a Cochi Ponzoni, da Massimo Boldi a Nino Frassica da Paolo Conte a Roberto Vecchioni, da Claudio  Bisio a Dori Ghezzi , da Valerio Landini a Elio, un lungometraggio che restituisce tutta la potenza eversiva, spaziante e geniale di un artista unico

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Saltimbanchi si muore. Ma se sei un genio la Nera Signora resterà per sempre solo una folata di vento che soffia in un’armonica, tra il Messico e le Nuvole. Enzo Jannacci, in realtà, non se ne è mai andato da questo globo terracqueo, un luogo che, tutt’ora descriverti non saprei. L’Enzino (laureato medico chirurgo) è  ancora lì che canta, tra El Dom e il magüt con quella sua voce unica (mica siamo tutti Pavarotti o Caruso) “Vengo anch’io", mentre con il leone è scappato e parli d’amore con la bella sottobraccio, per scoprire che si va sempre a finire che piove e, Ça va sans dire, "vedere di nascosto l'effetto che fa". L’effetto provocato dal documentario diretto da Giorgio Verdelli, presentato fuori concorso alla 80.ma Mostra del Cinema di Venezia e incentrato su Enzo Jannacci ti conquista già dai titoli di testa. Un’opera che ti fa sentire come il Silvano della mitica canzone. Un lungometraggio che ti ama, ti stringe, ti prende, ti applica, ti sgonfia, ti dà l’ebbrezza dei tendini e ti sposta tutte le efelidi, dopo non riconosci più i datteri ma resti consapevole che Jannacci è un patrimonio dell’umanità. E ricordi che sempre allegro bisogna stare che il nostro piangere fa male al re.

Enzo jannacci- Vengo anch’io, la trama

Il doc Enzo jannacci - Vengo anch’io ti picchia solo negli angoli, ed è bellissimo, pure se non sei un sodale di Von  Masoch. Tutta la creatività anarchica dell’artista meneghino te la restituisce con la croccantezza di un rustin negàa, con la sapidità di un’insalata di nervetti, con l’immensità commovente di un ossobuco con il risotto. Enzo era un genere, un titano che ha affettato con stile e grazia, insomma alla julienne, tutti i generi. Imprevedibile fucinatore di ilarità ha centrifugato il cabaret e il jazz. Tipo il bitter e il vermouth in un Americano che trabocca genialità. Jannacci sparigliava le carte, strapazzava la sintassi, coniava parole che manco nell’antologia del surrealismo griffata André Breton. Il tutto molto declinato alla milanese, ma parimenti eterno. Enzo, il rivoluzionario, è per sempre, come i diamanti, la Gioconda e la Sfinge. Non ha né tempo, né spazio perché è comunque e ovunque. Suonava come un dio, si mangiava le parole, in special modo le vocali, tant’è che Francesco Guccini era terrorizzato quando si sentivano la telefono. Ma andava bene così. Uno della caratura di Jannacci, è modello alla Paganini: mica puoi chiedergli di ripetere!

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"Ci vuole orecchio/bisogna avere il pacco/immerso, intinto dentro al secchio/
bisogna averlo tutto/anzi parecchio/Per fare certe cose/ci vuole orecchio"
Ci perdoni Dionigi, tiranno di Siracusa noto tra i frequentatori del Liceo Classico, ma Enzo Jannacci aveva un orecchio da far sembrare quello di Dionisio una mignon di caffè Borghetti. Il doc di Verdelli te lo sbatte in faccia, ma con gentilezza e acume, quanto l’artista fosse talmente avanti da doppiare noi mortali. E la testimonianza di Vasco Rossi, emozionato e felice, dimostra quanto Jannacci ci vedesse lungo. Il Blasco svela l’idem sentire con Enzo, a partire da quella Vita Spericolata presentata a Sanremo nel 1983. In fondo Siamo solo noi è il sequel di Quelli che. Una bella schidionata di schegge, abbacinanti intuizioni, memorabili refrain che popolano la pellicola. Astenersi perditempo, quindi, che qui non troverete nessuna insulsa e bigia processione di vedove, eredi, ricchi premi e cotillon. Tutti gli interventi hanno una potenza ed efficacia che manco una punizione di Robert Carlos. D’altronde nei titoli di coda si palesano i nomi d Diego Abatantuono, Cochi Ponzoni, Massimo Boldi e Nino Frassica, Paolo Conte, Roberto Vecchioni e J-Ax, i Claudio Bisio, Dori Ghezzi, Dalia Gaberscik, Paolo Tomelleri, Gino & Michele, Guido Harari, di Fabio Treves , Francesco Gabbani, Valerio Lundini ed Elio. Tutte testimonianze straordinarie, ma il racconto più intimo e struggente risulta quello del figlio Paolo. La vita "è un buco nero in fondo a un tram", e Jannacci junior illumina il tutto con la consueta verve e innocenza. Tant’è che terminata la proiezione ti sembra si manifestino, a guisa di allegri fantasmi, l’Armando, il palo della banda dell’Ortica, e il barbone che portava "i scarp del tennis". Siamo quindi certi che il film arriverà a "Quelli che fanno un lavoro d’equipe convinti di essere assunti da un’altra ditta”. 

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Il titolo uscirà nelle sale cinematografiche l’11, il 12 e il 13 settembre. E non dite che non ve lo avevo detto prima. Nell’attesa immaginiamo Vincenzina davanti alla fabbrica, come nella splendida canzone che accompagna Romanzo Popolare, il capolavoro del 1974 filmato da Mario Monicelli e interpretato da Ugo Tognazzi, Ornella Muti  e Michele Placido. Il foulard non si usa più, ma di contro Jannacci avremmo sempre tutti la necessita di averlo vicino e ascoltarlo pure "in pé". Tipo Veronica che stava in via Canonica e dava l’amore per una cifra modica.

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