Innamorarsi, nuovamente, della vita. Capire che non si è mai soli nel dolore e offrire la possibilità di scoprire come potrebbe essere il mondo senza di "noi". Il nuovo film di Paolo Genovese racconta della forza di ricominciare quando tutto intorno sembra crollare.
Un film che parla di felicità, seppur partendo dalla morte.
E' con grazia e nessuna retorica che Paolo Genovese affronta questi due temi ne
“Il primo giorno della mia vita”. Una pellicola corale, in sala dal 26 gennaio, in cui Toni Servillo è un uomo, o forse un angelo, che ha una missione ben precisa: dare, a chi si è suicidato, una seconda possibilità. Quattro persone, ognuna con la propria storia di sofferenza alle spalle. Nel cast anche Valerio Mastandrea, Margherita Buy, Sara Serraoicco e Gabriele Cristini, in un racconto che ricorda quanto sia importante il "ricominciare" e che il dolore, se condiviso, può fare meno male.
Ecco che cosa ci hanno raccontato regista e protagonisti.
PAOLO GENOVESE
“Sono consapevole che questo film tratti un argomento delicato nato tanto tempo fa, come spesso accade, tra i tavolini di un bar dove mi incontro spesso con i miei sceneggiatori che sono Paolo Costella e Rolando Ravello.
La storia è quella di un uomo misterioso interpretato da Toni Servillo che gira di notte per la città di Roma e ferma alcune persone un attimo prima di suicidarsi, in un momento molto impattante, e propone loro un patto: avere ancora una settimana di tempo per farle nuovamente innamorare della vita e promette di riportarli, dopo una settimana, esattamente nello stesso punto dove li ha trovati, sempre liberi di scegliere del proprio destino.
Praticamente quest’uomo dà la possibilità di avere una seconda scelta ad un gruppo di persone che ha toccato il fondo. Andando a ritroso nella memoria, devo dire che il nucleo originale della storia, per me è stato un documentario che si intitola “The Bridge” che vidi tempo fa: il regista mise una telecamera per un anno sul “Golden Gate” il Ponte di San Francisco che è il luogo dove avvengono più suicidi. Successivamente andò ad intervistare quelle persone che saltando, non sono morte, e la cosa molto importante è che la quasi totalità delle persone che sono sopravvissute hanno raccontato che in quei sette secondi, tanto dura il salto in aria, si sono pentite del gesto che avevano fatto.
La cosa mi ha colpito e stimolato, per questo abbiamo trasformato i sette secondi in sette giorni e ho riflettuto su quali possono essere i motivi che veramente quando hai scelto di fare un gesto così estremo, ti potrebbero far cambiare idea.
Abbiamo quindi costruito questa storia su un punto centrale: ossia c’è sempre qualcuno che ti può aiutare nella vita, sia un amico, un parente o persino uno sconosciuto che ti tende una mano”.
Nel tuo film dunque questo qualcuno, è il personaggio di Toni Servillo
Genovese: “Esattamente. Non gli abbiamo dato una valenza necessariamente religiosa, anche se certo potrebbe essere un angelo ma metaforicamente rappresenta chiunque ci possa “salvare”.
Ci siamo interrogati su quali tipi di personalità e storie avremmo voluto indagare ed abbiamo volutamente evitato la delusione amorosa.
I personaggi del film sono quattro. Il primo è interpretato da Valerio Mastandrea che è un “motivatore” ossia una di quelle persone che scrivono libri e tengono corsi per convincerti che la vita è bella e cercano di darti la carica.
Il personaggio di Valerio, che si chiama Napoleone, però è depresso, soffre e tanto più aiuta le persone tanto più si svuota lui.
Con Margherita Buy invece, che interpreta il secondo personaggio, affrontiamo il tema della perdita, del lutto, ma non dei genitori anziani ma di un figlio.
Lei non riesce ad andare avanti, non riesce a superare questo trauma e a sopportare questa mancanza. Poi abbiamo un bambino, e fa molto effetto pensare che un ragazzino così giovane possa compiere un gesto del genere.
Nel film Gabriele Cristini interpreta un tiktoker, uno youtuber bullizzato (ci siamo ispirati ad una storia vera tra l’altro) che mangia una quantità infinita di cibo in poco tempo. E’ un ragazzino che viene isolato e preso in giro, che non viene capito dai genitori e ad un certo punto non ce la fa più e capisce che vive male e decide di farla finita perché si dice: “Io sto bene solo quando dormo” e allora decide di dormire per sempre. Il quarto e ultimo personaggio è interpretato da Sara Serraiocco e rappresenta una campionessa di ginnastica artistica della Nazionale Italiana che durante una gara fa una caduta rovinosa e finisce sulla sedia a rotelle e smette di gareggiare. In verità, scavando, scopriamo che il suo male è quello di non riuscire ad arrivare prima ed essere sempre “la seconda”.
Più in generale ci fa riflettere sulla competizione, sulle aspettative degli altri o di noi stessi e della pressione enorme che troviamo molto spesso nello spot.
Pressione che comunque riguarda anche la vita quotidiana in cui dobbiamo sempre essere i migliori, i primi, fare sempre meglio, però laddove esiste questa pressione molte persone ne soffrono e diventa un male di vivere.”
Sei riuscito molto bene a mantenere un equilibrio emotivo tra tutte le storie. Avevi invece paura di “scivolare” in qualcosa, dato l’argomento di per se difficile?
Genovese: “Si certo, molte cose mi spaventavano. Il tema centrale, paradossalmente, non è il suicidio ma è la felicità.
Sapevamo anche che la felicità, o la ricerca della felicità, è praticamente un qualcosa che ci unisce tutti e quindi è un tema dove rischi la retorica, la banalità del già visto e già sentito. Non è un caso che questo sia il film per il quale ho impiegato più tempo in assoluto nella scrittura con una sceneggiatura che abbiamo scritto, smontato, rimescolato, infinite volte. Volevamo dire qualcosa che smuovesse prima di tutti noi stessi, qualcosa che non avevamo sentito.
Insomma volevamo trovare un punto di vista sulla ricerca della felicità che non fosse troppo scontato e in questo il personaggio di Toni Servillo è stato fondamentale perché volevamo rappresentare qualcuno (laico o religioso) che fosse comunque molto legato alla vita e che non facesse rimandi al “dopo”.
La ricerca che compiono in questi sette giorni i quattro personaggi, così come le motivazioni che trovano e che vengono loro suggerite, sono tutte concrete, reali, legate appunto alla vita terrena”.
La felicità è comunque mutevole, per sua natura
Genovese: “Certo, io stesso spesso mi interrogo e mi domande chi è felice, per quanto tempo lo è e perché lo è.
Ovviamente non c’è una ricetta, però nel film a Servillo facciamo dire una frase che io reputo importante ossia che è bello avere nostalgia della felicità perché quando provi nostalgia per qualcosa vuol dire che avresti voglia di riviverla, quella cosa, così per una persona o per un luogo. In tal caso la nostalgia ti funge da stimolo perché hai voglia di riprovare quello stato d’animo così benefico”.
Il lavoro ti aiuta ad essere felice?
Genovese: “Io ogni mattina, da vent’anni a questa parte, vado sul set con il sorriso e sono profondamente grato di fare questo lavoro perché credo che raccontare storie sia un lavoro meraviglioso ma in generale poter fare quello che ti piace e avere una passione è un privilegio assoluto ed è un qualcosa che ti può avvicinare, quanto meno a tratti, a un concetto di felicità”.
TONI SERVILLO
“Il mio personaggio regala una possibilità molto semplice: quella di poter capovolgere l’ultimo giorno della propria vita con il primo, offrendo questa opportunità anche magica, di guardarsi da fuori per provare a guardarsi meglio dentro e quindi di poter fare i conti con la propria solitudine”.
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VALERIO MASTANDREA
“Il mio personaggio è speculare a quello di Toni perché hanno un filo che li unisce che è proprio quello dell’assoluta incapacità a spiegare da dove viene quel malessere.
Il film cerca di non dare risposte alla condizione del mio personaggio, anche per rispetto di chi sta in quella stessa situazione. Napoleone (così mi chiamo nel film) è un uomo che motiva gli altri, mentre ha un buio dentro.”
MARGHERITA BUY
“Ognuno di noi, secondo me, può compiere un gesto del genere, in una frazione di secondo, quando il dolore ti soffoca e non ti fa più respirare. Il film “regala” un tempo a questi personaggi, per riflettere ancora di più su quello che hanno compiuto”.
SARA SERRAIOCCO
“Emilia, il mio personaggio, è una ragazza molto ambiziosa che ha il sogno di diventare una campionessa olimpica di ginnastica artistica.
Nel corso del film la vediamo crescere interiormente soprattutto grazie alla condivisione del suo dolore con gli altri.
Lei sicuramente rappresenta una nuova generazione che soffre nel non sentirsi all’altezza delle situazioni ma allo stesso tempo di voler primeggiare.”