Federico Buffa, Mauro Bevacqua e Michele Pettene ci ci raccontano i film, le tendenze e le emozioni che hanno caratterizzato il 75esimo Festival di Locarno
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È calato definitivamente Sabato 13 Agosto il sipario – leopardato – sul 75esimo Festival di Locarno, dopo una undici giorni cinematografica che oltre alla solita girandola multiculturale di film ha riportato in Piazza Grande e nelle casse del festival dei numeri addirittura superiori agli ultimi anni pre-pandemia. Una seconda edizione di grande e forse inatteso successo per il nuovo direttore artistico Giona Antonio Nazzaro, capace di scelte coraggiose, inaspettate e mai banali, in una celebrazione del rito della sala nel canton ticinese che non ha deluso le aspettative rilanciando anzi il prestigio internazionale di uno dei festival cinematografici più antichi del mondo.
IL SUCCESSO POST-COVID
Che Locarno ci tenesse a lasciarsi alle spalle i due anni più duri della sua storia recente si è visto dallo sforzo collettivo dello staff del presidente Marco Solari attorno alla celeberrima Piazza Grande, graziata da un meteo per molte giornate al limite. Uno sforzo premiato dal clamoroso ritorno del pubblico, locale e straniero, con un roboante e simbolico +60,4% di biglietti strappati rispetto al 2021, a cui si sono aggiunti ben 3.530 accrediti tra industry, giornalisti e fotografi e una rinnovata vitalità anche nelle attività collaterali alle sale cinematografiche, dalla night-life de “La Rotonda” all’appassionata partecipazione ai forum e agli incontri con registi, attori e produttori. Un messaggio importante, una ripartenza che dà forza per il futuro.
I SOGNI ELETTRICI (E VINCENTI) DEL COSTA RICA
Scalzato immeritatamente da “Regra 34” nel Concorso Internazionale, “Tengo Sueños Eléctricos” di Valentina Maurel ha impressionato e scosso per la sua aderenza a un dramma ancora fin troppo diffuso, la violenza domestica psicologica e fisica e l’impossibilità di uscirne in modo rapido e indolore. Ha stupito la chimica tra i due protagonisti, un padre violento e la figlia adolescente incapace di chiudere la relazione tossica con il genitore più affine alle sue pulsazioni quando non travolto dalla rabbia. Una storia - narrata con passione viscerale, camera sempre in movimento, primi piani e scene di lotta e amore di un’intensità selvaggia - che è uscita ben presto dai confini del Costa Rica diventando universale, toccando tutti. La vera rivelazione, insieme alla giovane attrice esordiente Daniela Marín Navarro premiata come Miglior Attrice.
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NORVEGIA-1: CONTRADDIZIONI
Impossibile trovare durante la kermesse svizzera un documentario più profondo, potente e metaforico del meraviglioso “Návštěvníci” (The Visitors) della regista ceca Veronika Lišková (Semaine de la Critique): ambientato integralmente nelle Svalbard, remoto arcipelago sul circolo polare artico non incorporato nella Norvegia e dove non serve un visto per potervi abitare, segue le ricerche antropologiche di una studiosa ceca trasferitasi con l’intera famiglia, tra maestosi paesaggi ostili e ghiacciati e le forti resistenze della popolazione autoctona verso gli immigrati della crescente comunità internazionale. Uno sguardo innovativo e critico su un Paese storicamente indicato come riferimento per integrazione e welfare, oltre che un’intima testimonianza sulla difficile convivenza dell’essere umano con una Natura ostica che non accoglie ne riscalda.
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NORVEGIA-2: SORELLE DI TALENTO
Portare sullo schermo i drammi privati per esorcizzare gli incubi del proprio Passato è stratagemma che da sempre attrae gli artisti, ma raramente negli ultimi anni si è visto un esordio dello spessore, del fascino e della maturità di “Sister, What Grows When Land Is Sick?” di Franciska Eliassen. Tra riflessioni su climate change, femminismo e salute mentale il film ritrae un’adolescente alle prese con la depressione e la bipolarità della sorella maggiore: uno sfoggio estetico impressionante tra momenti onirici, elogi alle streghe simboli di emancipazione e una profonda sensibilità spiegata dal legame della regista con la sorella costumista a cui la figura della tormentata e bravissima protagonista è ispirata. Ci hanno detto che lavoreranno di nuovo insieme: non vediamo l’ora.
L’UCRAINA OLTRE LA GUERRA
Più attuale che mai, l’Ucraina si è presentata a Locarno in modalità impreviste e “laterali”, allargando una visuale che negli ultimi mesi si era focalizzata solo sul conflitto con l’invasore russo. “How is Katia?”, uno dei grandi vincitori della sezione Cineasti del Presente, ha inchiodato sullo schermo i problemi della corruzione e della diseguaglianza economica attraverso la ricerca di giustizia di una madre divorziata abbandonata da tutti dopo aver perso la figlia in un incidente autostradale; “Olga”, coraggiosa e ambiziosa produzione svizzera che “Wanted” distribuirà in Italia, con la storia di una giovane e talentuosa ginnasta svizzero-ucraina ha riportato il pubblico agli episodi violenti di Euromaidan del 2014 e al nazionalismo, oggi come allora forza e debolezza dell’Ucraina; mentre “The Hamlet Syndrome”, in un toccante documentario, ha raccontato la guerra e i disturbi post-traumatici da stress usando il teatro con dei giovani reduci da esperienze cruente e indelebili vissute al fronte. Un’Ucraina
GIRL POWER
In una tendenza sempre più trasversale a tutti i festival molte delle opere di Locarno hanno mantenuto accesi i riflettori sulle narrazioni al femminile, tra coming-of-age, storie d’amicizia e di abusi che la donna ancora oggi subisce quando si tratta del proprio corpo. Tra i tanti film spiccano i francesi “Petites” (una ragazza madre indecisa tra l’aborto e l’adozione post-parto) e “Stella In Love” (l’anno della maturità e del salto nella vita adulta raccontati con trovate originali e poco battute dal genere); il documentario svizzero sulla grande scrittrice e femminista statunitense Erica Jong; lo slovacco “Nightsiren” vincitore del Miglior Film nei Cineasti del Presente ambientato in un paesino sperduto dove ignoranza e folklore si scontrano con il desiderio di riscatto e indipendenza di due sorelle separate dall’infanzia; e “Annie Colére” della francese Blandine Lenoir, vincitrice del premio “Piazza Grande – Variety” grazie al racconto della lotta per i propri diritti e le proprie libertà di un gruppo di donne francesi nel 1974.
REGOLA NUMERO 34
E proprio alla pellicola di una coraggiosa regista brasiliana è andato il premio più ambito, quello del Miglior Film nella sezione Concorso Internazionale: “Regra 34” di Julia Murat è riuscito nel non facile compito di unire in un’unica, sorprendente protagonista la figura “diurna” di una giovane studiosa di Legge attiva contro la violenza sulle donne a quella “notturna” di un’amante del BDSM, innescando un’insolita riflessione sull’accettazione dell’ambivalenza del comportamento umano, sull’emancipazione sessuale e il decolonialismo capisaldi delle nuove generazioni black in Brasile. Pur con qualche punto debole un film che ben sintetizza lo spirito di questa edizione, dedicata - come ha detto il direttore artistico Nazzaro - “a dare forma alla complessità del reale, e alla sua diversità”.
ITALIA SI, ITALIA NO
Escludendo co-produzioni, serie tv (“Prisma”) e cortometraggi la rappresentanza nostrana a Locarno non è stata delle migliori, regalando paradossalmente le migliori soddisfazioni con opere meno attese rispetto a “Il Pataffio” (con Lino Musella e Giorgio Tirabassi) e “Delta” (con Alessandro Borghi e Luigi LoCascio): del magnetico documentario di Susanna DellaSala sulla comunità di Bombay Beach in California abbiamo già parlato, mentre si è guadagnato un premio speciale della Giuria nel Concorso Internazionale la surreale commedia in dialetto friulano “Gigi La Legge”.
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BOSNIA E DIGNITA’
Tentare di descrivere gli strascichi odierni lasciati dalle famigerate e sanguinose guerre dei Balcani degli Anni ‘90 senza mai citare nazionalità, religioni o responsabili era operazione rischiosa, ma il 35enne documentarista svizzero Jan Baumgartner, posizionando la cinepresa di “The DNA of Dignity” al di fuori della faida tra i Paesi dell’ex-Jugoslavia coinvolti, è riuscito a raccontare con grande rispetto il processo di ricerca dei resti e poi del DNA delle tante vittime ancora oggi date per disperse. Il risultato, in poco più di un’ora e seguendo gli scavi tra le fosse comuni degli scienziati forensi, è fortemente simbolico: un intento, quello della restituzione di un minimo di conforto e dignità, ben rappresentato da un personaggio del posto la cui famiglia fu decimata durante le guerre, determinato a contribuire anche a mani nude pur di dare la possibilità alle famiglie ancora in attesa di seppellire finalmente i propri cari scomparsi più di 30 anni fa.
SIRK
Guy Lodge, critico di Variety entusiasta del portoghese in concorso "Nação Valente", cruda e arguta rivisitazione dell'ultima anacronistica e infausta colonizzazione europea (Angola '74), scrive "Miglior film visto a Locarno non diretto da Douglas Sirk".
Divertente ? Probabilmente sì. Vero? Purtroppo sì.
Ma non è colpa di nessuno, è solo che i film di Sirk in retrospettiva erano magnetici. Si finiva sempre col voler dedicare un po' di tempo di una giornata al festival per vederne uno.
Geometria del melodramma. Beffarda, perfetta, provocatoria. Lo sguardo di un tedesco fuggito a Hollywood negli anni 30, mai del tutto Hollywoodizzato, che duella con la produzione per avere più controllo sui suoi film riuscendo a volte a concedersi favolosi finali che non generano mai certezze ma altre domande.
Su tutti "Imitation of life" (Lo specchio della vita, 1959), suo ultimo film americano. Un remake di un film degli Anni '30 che Sirk non aveva nemmeno visto, tratto da un romanzo statunitense che per la prima volta trattava intensamente la questione razziale. Lana Turner che dichiara che per una volta un regista l'ha fatta sentire un'attrice e non una bombshell, varie candidature agli Oscar di cui uno vinto, la Kohner come miglior attrice non protagonista.
Todd Haynes, sirkista dichiarato, Pardo d'oro alla carriera, presentando il film in Piazza Grande accende le luci "Se volete assorbire un suo film concentratevi non tanto sui personaggi stabili alla Rock Hudson, ma sugli instabili, perché nessuno ad oggi li ha mai descritti come lui."
Yes sir.