Locarno 2022: "Last stop before chocolate mountain", il film italiano che non ti aspetti

Cinema

Mauro Bevacqua

©️Locarno Film Festival
Last stop before chocolate mountain

A Locarno l'Italia ha portato due film in corsa per il Pardo d'Oro ("Il pataffio" con Valerio Mastandrea e Alessandro Gassman e "Gigi la legge" di Alessandro Comodin) e due nella cornice sempre prestigiosa di Piazza Grande ("Delta" con Alessandro Borghi e Luigi Lo Cascio e "Piano piano" di Nicola Prosatore). Ma è in una sezione collaterale - la Semaine de la Critique - che si scopre la sorpresa più bella di questo festival. Si tratta di "Last Stop Before Chocolate Mountain" di Susanna Della Sala

LOCARNO - Dal nome sembra India ("Bombay Beach") invece è America. Ma non quella da cartolina. Quella che resta ai margini, di un lago - inquinato - travestito da mare (Salton Sea, in California), ma anche ai margini di quel sogno (americano) che forse non c'è più. Il luogo, fisico, è quello già visitato da Gianfranco Rosi in "Below Sea Level" (e non a caso il suo nome è tra i primi a comparire nella lista dei ringraziamenti tra i titoli di coda); il luogo, del cuore, sta invece a metà tra le comunità di adulti/anziani raccontati da Jessica Bruder in "Nomadland" ("Solo che qui i protagonisti abitano stabilmente quel che rimane di Bombay Beach", ci dice la regista Susanna Della Sala) e il carnevale artistico di un Burning Man rimasto a dimensione umana, vero, non ancora inflazionato. Da questo strano ma esplosivo mix nasce "Last stop before chocolate mountain", l'unica opera italiana presentata in quella Semaine de la Critique che ha messo in mostra ben più di un gioiello. E tale è anche il lavoro firmato da Susanna Della Sala, che riconosce il "debito" verso il lavoro di Rosi ma è decisa nel sottolinearne le differenze: "Lui ha scelto di raccontare quasi giornalisticamente un luogo, io ho voluto portare più in primo piano un sentimento, trasferendo sullo schermo le mie sensazioni e le mie esperienze nell'incontro con questa comunità. Bombay Beach - continua l'autrice - rappresenta per me un luogo universale e metaforico in cui ci mettiamo a confronto con noi stessi, risvegliando il nostro impulso creativo, nel miraggio di una liberazione individuale. 

© Festival Del Film Ti-Press Massimo Pedrazzini

Il film racchiude l’anelito collettivo, disperato e gioioso al tempo stesso, verso l’accettazione e il senso di appartenenza". I temi che la pellicola sfiora - dalla tragedia ecologica (di un lago ormai tossico) alla ricerca di uno stile di vita alternativo ("la via per una vita diversa") - assicurano l'attualità del lavoro di Della Sala ma è nella sua componente più prettamente artistica, cinematografica e visiva che "Last stop before chocolate mountain" dà il meglio di sé. I personaggi più disparati (e talvolta disperati) sono tutti accomunati da un unico destino: quello di cercare/trovare una guarigione nel "potere rigenerante dell'arte", che si esprima con parole scribacchiate su un diario o attraverso la costruzione di gigantesche installazioni create con materiali di riciclo. Ne esce fuori un ritratto che resta volutamente sospeso "ai margini" - ai margini delle grandi città (a meno di tre ore d'auto da Los Angeles o da San Diego); ai margini della società (che in alcuni casi ha espulso i protagonisti del racconto e in altri è stata volutamente rifiutata); ai margini delle singole vite di ognuno (spesso deragliate per motivi diversi). Eppure "Last stop before chocolate mountain" non è l'ennesimo film sui drop out, sugli sconfitti, sui battuti ("beat") perché al cuore della pellicola c'è l'arte e il suo potere di rinascita, che sia di un luogo o di ciascuno di noi. Un potere che si avverte forte anche nelle scene finali del lavoro di Della Sala, in una serie di azzeccati tableau vivant tra lago e deserto, tra realtà e fantasia, tra vita e arte.  

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