Il 22 novembre del 1995 usciva negli Stati Uniti, il terzo film della trilogia dedicata alla mafia firmata dal regista americano. Un affresco abbacinante e amaro con Robert De Niro, Sharon Stone e Joe Pesci.
“Quando ami una persona, devi fidarti di lei. Non c'è altro modo. Devi darle la chiave di tutto quello che è tuo. Altrimenti a che serve? E per un po' ho creduto di avere un amore così”. Parte così Casinò, ennesimo capolavoro diretto da Martin Scorsese, che celebra il venticinquesimo anniversario.
E queste parole pronunciate da Robert De Niro (doppiato in italiano da un magistrale Gigi Proietti, giustamente premiato con il Nastro D’Argento) sono l’incipit di una discesa negli inferi. Perché a Las Vegas tutto è finto, soprattutto i sentimenti. Il cuore è un lusso che non puoi permetterti in un città in cui conta l’azzardo, il bluff e, soprattutto, i soldi.
Sicché Sam "Asso" Rothstein, il personaggio interpretato da De Niro zompa per aria, una volta salito nella sua lussuosa automobile. Le fiamme invadono lo schermo, mentre riecheggiano le voci della Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach. Casinò è una pellicola su un artificiale Paradiso perduto, su un giardino dell’eden che si trasfigura in via crucis. Uscito il 22 novembre del 1995, Casinò, a 25 anni di distanza resta un meraviglioso, straziante addio a un mondo e a un amore non corrisposto.
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Casinò di Scorsese, tra Nicola Pileggi e i miti greci
Tra Charles Darwin e la Bibbia, tra Cristo e Zeus, Casinò, è una sorta di cosmogonia, composta da divinità minori. Dopo l’infanzia (Mean Streets), la maturità (Good Fellas), Scorsese filma il tramonto di Cosa Nostra. Come in un’epopea western, il regista racconta il fallimento di chi aveva tutto e si ritrova a mani vuote. Un poema su un gruppo di semi-dei divelti dalla propria avidità. La pellicola si ispira alla vite di Frank "Lefty" Rosenthal e Anthony "The Ant" Spilotro, figure mitologiche raccontate in un libro dal grande Nicola Pileggi, (già autore del best-seller alla base di Quei Bravi ragazzi). È noto che quando Scorsese iniziò a girare il volume di Pileggi ancora non era terminato, tant’è che lo script venne redatto. Contattato dalla produzione, Rosenthal non voleva saperne di collaborare al film come consulente. Tuttavia, appreso che il suo alter ego sullo schermo sarebbe stato Robert De Niro e che avrebbe potuto incontrare Sharon Stone, Scorsese e Joe Pesci, cambiò idea. Satana lo sa: la vanità è il peccato più grande.
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Las Vegas, paradiso perduto tra i Casinò
Basta guardare i titoli di testa del geniale Saul Bass per comprendere che Casinò ti manda, per l’appunto fuori di testa. Le luci, il rumore delle slot machine , il lancio dei dadi, la pallina impazzita della roulette, immergono lo spettatore in un delirio adrenalinico e folle. Il gioco si fa duro e pure i duri perdono, con quei riflessi di luce, Scorsese ci suggerisce che tra strisce di cocaina e schidionate di dollari, alla fine vince sempre il banco. E se un tempo a scremare e a fare la cresta sugli incassi era la mafia, ora sono le società quotate a Wall Street. L’immaginario Casinò Tangiers era Il Riviera Hotel situato al 2901 del Las Vegas Boulevard. Ma in realtà, molte delle case da gioco che si palesano nel film di Martin non esistono. Le loro insegne dismesse sono esposte al mitico Neon Museum, rovine degne di un’incisione di Piranesi, testimoni muti di un passato obnubilato. Per citare le parole di Asso: “La città non sarà più la stessa. Dopo il Tangiers le grandi società si impossessarono di tutto, oggi assomiglia a Disneyland; e mentre i bambini giocano con i pirati, mamma e papà lasciano le rate per la casa e i soldi per l'Università del piccolo nelle slot machine".
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Robert De Niro e Joe Pesci: eravamo 2 amici al Casinò
Casinò è un film che trasuda false piste, piste di coca, raggiri, trappole, inganni, fregature, estorsioni e tranelli. Per questo Martin Scorse farcisce la pellicola di digressioni, deviazioni, vicoli ciechi. Tant’è che la voce fuori campo, è una sorta di deus ex machina, il direttore di un circo opulento e vizioso in cui tutti perdono e si perdono. La sola certezza è la consueta complicità tra Robert De Niro e Joe Pesci. In Casinò, Bob che tornerà a lavorare con Scorsese solo nel 2010 in The Irishman è perfetto nei panni di Asso. Con quei oltre 30 completi color pastello, le cravatte in tinta, i colletti con un punto di fuga verso l’infinito (peraltro difficilissimi da recuperare, come sottolineò all’epoca la costumista), il personaggio di Sam è un maniaco del controllo, consapevole che Las Vegas lo ripulirà dai peccati. Sarà l’autolavaggio della sua moralità. Farà per lui quello che Lourdes fa per i gobbi e gli storpi. Ma l’amore per la donna sbagliata lo manderà in frantumi. A contribuire alla rovina di Asso, sarà un importante contributo pure di Nicky Santoro, il personaggio di Joe Pesci ispirato al gangster Anthony Spilotro, al solito Pesci è terrificante. Pochi attori sanno spaventarti in quel modo pur essendo in apparenza buffi. Sequenza, dopo sequenza, Nicky supera ogni limite. Privo di decenza, con lo stecchino in bocca e capace di mettere la testa di un uomo in una morsa e farlo sentire, pure in colpa. Un’esegeta della parola “Fuck” che in Casinò viene pronunciata ben 435 volte (circa 2,4 al minuto).
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Sharon Stone un'interpretazione da jackpot
Come diceva Mallarmè, “Un tratto ai dadi non abolirà mai la sorte”. Se poi parliamo di un film ambientato in un casinò di Las Vegas, l’aforisma dello scrittore francese vale doppio. Infatti la scelta dell’attrice destinata a interpretare Ginger McKenna, il grande amore di “Asso”, la donna per la quale perderà tutto, è stata assai tortuosa. Dopo Nicole Kidman, Cameron Diaz, Uma Thurman, Melanie Griffith, Michelle Pfeiffer, Madonna e Traci Lord alla fine fu scelta Sharon Stone. Eppure Martin Scorsese diede buca per due volte alla diva di Basic Instinct. Tant’è che Sharon rifiutò un terzo appuntamento preferendo andare a un ristorante italiano con una cara amica. Ma Scorsese, come nella più zuccherosa delle commedie sentimentali, si presentò al locale e le offrì il ruolo. Un’idea assolutamente vincente. La Stone, sia con un completo di Emilio Pucci, sia con un vestito di perline bianco dal peso di 20 chili, risulta mirifica, furba e vulnerabile. Una ragazza di strada con ai piedi tacchi in cristallo di rocca, capace di turlupinare un volpone come “Asso”, ma parimenti schiava d’amore di Lester Diamond, untuoso pappone interpretato da James Woods. Non a caso Sharon vinse il Golden Globe come migliore attrice non protagonista, ma non l’Oscar che andò a Susan Sarandon per Dead Man Walking. I premi sono ingiusti come la vita e il gioco d’azzardo. Alla fine perdono tutti. E la grandezza di Casinò di Scorsese sta proprio nel raccontare un fallimento ornandolo di paillette, lustrini, luci al neon, sogni, banconote, droghe, alcol. E alla fine da quel caos anfetaminico, da quella reiterata e prolungata ostentazione, sale in gola l’amaro sapore della sconfitta. E ora in un hotel della Street di Las Vegas “se chiedi il servizio in camera sei fortunato se ti arriva per giovedì. Tutto è finito”.