10 anni fa usciva "The Social Network", il primo grande film dell'era digitale

Cinema

Giuseppe Pastore

Una straordinaria sceneggiatura di Aaron Sorkin (premiata con l'Oscar), la regia di David Fincher, le interpretazioni di Jesse Eisenberg, Andrew Garfield e Justin Timberlake: una pellicola diventata cult che descrive il tempo presente

In un momento storico in cui i film che sanno catturare e fotografare il mondo “in diretta” sono sempre di meno, e invece sono sempre di più i registi che preferiscono guardarsi indietro, rifugiandosi nella comodità di un remake o dell'ennesima didascalica biografia, compie dieci anni una delle opere più rappresentative del tempo presente. L'11 novembre 2010 usciva in Italia The Social Network, regia (magnifica) di David Fincher, sceneggiatura (magnifica) di Aaron Sorkin.

L'idea nasce da The Accidental Billionaires (2009), un libro di Ben Mezrich che ricostruisce l'ascesa e le fortune di Mark Zuckerberg attorno alla sua discussa “invenzione”: tutta farina del suo sacco o invece appropriamento indebito di un'idea altrui? Il vero Zuckerberg, naturalmente, non fornì alcun contributo alla realizzazione dell'opera (mentre il vero Eduardo Saverin fece da consulente per il libro di Mezrich), e d'altra parte The Social Network non si pone come un documentario o come una docu-fiction su Zuckerberg: al centro della scena c'è sempre la drammatizzazione di eventi reali a fini spettacolari, e in questo bisogna dire che Sorkin svolge un lavoro clamoroso. La forza e l'originalità della sua sceneggiatura stanno nel non provare a semplificare la materia narrativa, una storia di diritti d'autore e proprietà intellettuali che corre il serio rischio di risultare noiosa. Invece di banalizzarla, Sorkin complica le cose: salta in maniera spericolata da un processo all'altro, si muove avanti e indietro nel crepitare di dialoghi e battute come fuochi d'artificio. Alla fine non ci ricordiamo neanche più dei verdetti finali, riassunti in poche didascalie: a Sorkin e a Fincher, come ha scritto Morandini, “interessano il ritratto di Zuckerberg e il microcosmo in cui vive, la catatonia morale di giovani che riassumono in loro stessi il cinismo e la cupidigia dei genitori e l'impudenza di un'adolescenza dalla quale non vogliono uscire”.

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Così il film adatta al mondo e alla realtà di oggi temi classici come l'amicizia, la lealtà, la gelosia, il potere, il denaro. “È stata la proposta più veloce che io abbia mai accettato”, disse Sorkin a proposito della nascita del progetto: “Stavo leggendo una bozza del libro di Mezrich, ancora non pubblicato, e a pagina 3 mi ero già convinto”. Per rendere più pungente e credibile la descrizione del mondo di Harvard, Sorkin si affidò anche ai consigli di Natalie Portman, ex studentessa dell'università dal 1999 al 2003 (citata indirettamente nel film come "una stella del cinema" di cui non viene fatto il nome). E Fincher gli riservò anche la piccola parte dell'uomo che Zuckerberg e Saverin cercano di convincere a diventare inserzionista pubblicitario, con esiti disastrosi.

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Detto dello strabiliante copione di Sorkin, premiato giustamente con l'Oscar alla sceneggiatura non originale, resta da ricordare tutti gli altri meriti di uno dei film più caratteristici del decennio appena concluso. A cominciare dal regista David Fincher, tra i maggiori appassionati di tecnologia e modernità, perfettamente a suo agio con una storia così eterea e impalpabile, ambientata in un universo misogino come molti dei suoi film. Nonostante il fiume di parole che attraversa The Social Network, fuori dalle udienze il sociopatico Mark parla solamente con due donne. Questi due dialoghi incorniciano il film: in apertura la sua fidanzata Erika (che gli annuncia di volerlo lasciare, e che ritroverà brevemente e freddamente più avanti) e in chiusura il giovane avvocato (Rashida Jones) che nel finale gli rivela la sua natura: “Non sei uno stronzo, cerchi solo ostinatamente di esserlo”. Finché Mark, rimasto solo, cede alla tentazione di cercare la sua ex su Facebook: una debolezza condivisa da milioni di persone, a volte nello stesso momento.

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L'ottimo Jesse Eisenberg interpreta un Zuckerberg ombroso e arrogante, nonché affetto da un disturbo ossessivo-compulsivo che per l'attore rappresentò una sfida nella sfida: Eisenberg aveva sofferto per anni dello stesso disturbo e ora gli toccava comportarsi e parlare proprio nel modo che aveva cercato di allontanare da sé per tanti anni. La scelta di casting è una delle più felici mai realizzate da Hollywood negli ultimi anni, ma non è la sola: Andrew Garfield rende bene i tormenti dell'insicuro Eduardo Saverin, succube della genialità dell'amico, mentre Justin Timberlake è perfetto nel tratteggiare uno Sean Parker genialoide, megalomane, seducente ma anche molto infantile. Così come lascia il segno Rooney Mara nella breve e fulminante scena d'apertura, scritta benissimo e recitata a tambur battente, con una velocità che diventa persino faticosa da seguire. Il dialogo parte addirittura sul logo della casa di produzione, e c'è un motivo: la Columbia aveva chiesto a Sorkin di accorciare la sceneggiatura di una trentina di pagine per non andare oltre le due ore di durata, ma lo sceneggiatore, d'accordo con Fincher, s'era ingegnato a trovare un modo per non sacrificare nulla. E così, parlando velocissimo, il film dura due ore e venti secondi...

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Un altro dei fiori all'occhiello di The Social Network è la magnifica colonna sonora “atmosferica” composta da Trent Reznor, leader e fondatore dei Nine Inch Nails, assieme al suo socio Atticus Ross. I due erano al loro primo lavoro per il cinema ma confezionarono delle musiche che valsero l'Oscar. Merita una citazione la title track che scorre sui titoli di testa, un pianoforte solitario che suona una musica eterea e impalpabile come la materia narrativa che frulla nella testa di Zuckerberg, che sta correndo a perdifiato verso il suo alloggio dopo essere stato mollato da Erica: la musica fu registrata da grande distanza, per aumentare la sensazione di un suono attutito e isolato. Notevole anche la versione di In the Hall of the Mountain King dal Peer Gynt di Edvard Grieg, usata per la straordinaria sequenza della gara di canottaggio.

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Il terzo Oscar andò al montaggio di Angus Wall e Rick Baxter, a conferma dell'abituale attenzione di David Fincher agli aspetti tecnici e ai dettagli: per fare un altro esempio, il profilo Facebook di Erica Albright che Mark visita sconsolato nella scena finale esiste davvero. Tutto contribuisce a creare un'atmosfera confusa e conturbante che decretò il successo del film, a cominciare dal trailer che fu particolarmente fortunato: una curiosa versione di Creep dei Radiohead interpretata da Scala & Kolacny Brothers, un coro di voci femminili proveniente dal Belgio che grazie a questa cover ebbe un breve successo internazionale. Molto più duraturo quello di tutto il film: secondo Esquire, “il Quarto Potere dell'era digitale”, elogiato da esperti e registi come Tarantino per la brillantezza dei dialoghi. Anche se nell'era di Internet merita una citazione la recensione apparsa sul sito ScreenCrush, che elesse The Social Network ideale seguito di Fight Club, per la storia di un giovane uomo alle prese con un'imprevista scoperta: scatenare la rabbia repressa delle persone porta a conseguenze sorprendenti. Dieci anni dopo potremmo del resto chiederci, con una punta di cinismo: non è a questo, alla fine, che servono i social network?

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