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Sean Connery, anche lui è stato cattivo: i migliori ruoli da "villain"

Cinema

Giuseppe Pastore

Il grande attore scozzese è passato alla leggenda per James Bond e tanti altri personaggi "buoni", ma la sua carriera nasconde anche parti più oscure. Ecco le migliori

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L'eroe positivo, l'uomo forte e rassicurante che non si scompone mai e affronta un duello finale all'ultimo sangue con la classe e la compostezza con cui si ordina un Martini. Alto quasi un metro e novanta, voce profonda, attore sopraffino, Sean Connery, scomparso a 90 anni, ha sempre assicurato una presenza scenica senza pari anche fuori dal personaggio, per esempio quando gli capitò di annunciare l'Oscar a Titanic, 23 marzo 1998.

Anche un attore così naturalmente associato al “bene”, il cui personaggio più famoso è un agente segreto che alla fine ha sempre la meglio, ha però coltivato il proprio lato oscuro. Allo stesso modo, molti registi di valore sono stati affascinati dall'idea di usare Sean Connery al negativo, costruendogli attorno personaggi ambigui e controversi proprio partendo dal suo fascino inimitabile. A cominciare da uno dei più grandi di tutti, Alfred Hitchcock, che nel 1964 – quando era già famosissimo e amatissimo dal pubblico conquistato con i primi due 007 (Licenza di uccidere, 1962, e Dalla Russia con amore, 1963) – gli affidò la parte del protagonista nel controverso Marnie (1964), in cui si innamora e sposa una cleptomane frigida e bugiarda e, non rassegnato all'idea di non poter consumare la prima notte di nozze, le usa violenza su una barca in luna di miele: una scena che fece molto discutere e scandalizzò milioni di spettatori in tutto il mondo. 

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L'idea di un Connery cattivo è tornata ciclicamente nella testa di registi e produttori, ma alla fine non se n'è fatto molto. Particolarmente divertente sarebbe stato un ruolo da villain proprio in un film di James Bond e l'idea si era diffusa nel 2007, scontrandosi però con il rifiuto dell'attore, quasi ottantenne quando aveva già annunciato il ritiro dalle scene (il suo ultimo film, La leggenda degli uomini straordinari, risale al 2003). Ma le parti oscure non mancano a cominciare dall'interpretazione di Macbeth, nel 1961, in un adattamento televisivo canadese che fu il primo ruolo “americano” dell'attore (nonché il suo primo tratto da un'opera di Shakespeare). È stato ergastolano, poi ladro in Rapina record a New York (1971) e l'anno dopo poliziotto in crisi in Riflessi in uno specchio scuro, questi ultimi due film entrambi per la regia del grande Sidney Lumet: nel secondo interpreta il ruolo, duro e molto acclamato, di un agente di polizia sull'orlo della follia che pesta e uccide un uomo sospettato dello stupro di una minorenne.

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Sicuramente non è un vero e proprio cattivo il ladro gentiluomo che interpreta nel 1999 in Entrapment accanto a Catherine Zeta Jones, così come non lo è l'ex prigioniero di Alcatraz che in The Rock (1995) aiuta Nicolas Cage a sventare il colpo di stato del generale Ed Harris. Ma rimane molto ambiguo il suo ruolo in La donna di paglia (1964), in cui per gran parte del film si atteggia con l'eleganza di un James Bond accanto a Gina Lollobrigida, prima di svelare una natura da sociopatico. O, per rimanere nello stesso ambito, il medico scozzese che ha come amante sua nipote nello psicologico Cinque giorni un'estate (Fred Zinnemann, 1982).

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Nel 1998 interpretò il ruolo del cattivo per eccellenza, senza sfumature e senza neanche troppo fascino, nel malriuscito The Avengers, fumettone con Uma Thurman e Ralph Fiennes ispirato all'omonima serie televisiva britannica. Era lo scienziato pazzo Sir August de Wynter che vuole controllare il clima del pianeta: un personaggio così così per cui fu necessaria una grande dose di autoironia, che non gli evitò la nomination come peggior attore non protagonista per i famigerati Razzie Awards. Allora meglio concludere con un ruolo minore e davvero insolito, interpretato agli albori della carriera, nel 1957, ne Il Bandito dell'Epiro (in originale Action of the Tiger), diretto da Terence Young, il regista che l'avrebbe poi reso una leggenda nei due primi storici capitoli della saga di James Bond. Il protagonista era Van Johnson, navigato attore di B-movies; la sua partner sullo schermo era la francese Martine Carol: la trama del film, piuttosto scombiccherata, ruota intorno a una bella francese che vuole ritrovare suo fratello, rapito e prigioniero politico nell'Albania degli anni '50, e si fa aiutare da un avventuriero americano che vuole liberare tutti i bambini greci rapiti dal regime comunista. Il ruolo di Connery (aiutante del protagonista) è piuttosto modesto, comparendo all'inizio e alla fine del film senza particolari guizzi e una sola scena abbastanza sgradevole quando – visibilmente ubriaco – aggredisce la ragazza francese: vedere Sean Connery sfatto e con la barba lunga fa uno strano effetto ancora oggi. Curiosamente, la scena fu inserita nel trailer del film e rappresenta una delle primissime immagini in movimento dell'attore – splendido novantenne – davanti a una cinepresa. 

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