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Gian Marco Tognazzi presenta Mollami. L'intervista

Cinema

Barbara Ferrara

Mollami, la nuova produzione originale Sky e Italian International Film in onda in prima tv domenica 24 novembre alle 21.15 su Sky Cinema Uno, "è un viaggio di persone in crescita che hanno voglia di cambiare". Continua a leggere e scopri cosa ci ha raccontato Gian Marco Tognazzi, sul set avvocato di successo e padre di Valentina (Martina Gatti).

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Diretta da Matteo Gentiloni, al suo debutto dietro la macchina da presa, la pellicola è un road movie young adult con elementi fantasy. La commedia Sky Original e Italian International Film prodotta da Fulvio e Federica Lucisano vede protagonista Martina Gatti (sul set Valentina Cordiale), anche lei alla sua prima esperienza in veste di attrice. “Di lei mi hanno colpito la naturalezza, la spontaneità e l’attitudine al lavoro, non mi sono accorto di lavorare con un’attrice esordiente”, parola di Gian Marco Tognazzi nel cast del film insieme ad Alessandro Sperduti, Maria Chiara Giannetta, Caterina Guzzanti. Tognazzi (nelle sale con Sono solo fantasmi di De Sica e impegnato sul set del sequel di Ritorno al crimine di Massimiliano Bruno in uscita il 5 marzo 2010), veste i panni di un padre anaffettivo, troppo concentrato su sé stesso per badare a sua figlia adolescente. Martina vive morsa dal tormento dei suoi sensi di colpa, è un’anima fragile, lotta senza l’aiuto degli adulti, fa uso di sostanze allucinogene per allontanare i suoi demoni, fatica a socializzare, si isola. Sua madre l’ha abbandonata dopo la morte del fratello e suo padre, famoso avvocato di successo, cerca invano di riportarla sulla “retta via”. Mollami ti aspetta in prima tv domenica 24 novembre alle 21.15 su Sky Cinema Uno, nell’attesa continua a leggere e scopri di più.

Cosa ha pensato quando ha letto il copione?
Mi piaceva l’idea che fosse un film rivolto soprattutto ai post adolescenti, e non solo. Mollami può sembrare leggero, ma nasconde temi profondi e ha una sua identità ben precisa, Matteo Gentiloni è stato bravissimo. Racconta una storia fuori dagli schemi con una protagonista problematica, c’è il tema del rapporto genitore-figlia molto conflittuale che mi interessava: il fatto di non aver mai interpretato padri che hanno figli di quell’età e con quelle problematiche, è stato uno stimolo in più. Sposo sempre con grande entusiasmo tutto quello che mi porta su un binario diverso rispetto alle opportunità che ho avuto. Mi piace lavorare con i giovani, e tutti si sono distinti per il livello professionale molto alto. E poi avevo voglia, e ne ho ancora, di lavorare per Sky come attore. Trovo che oltre ai contenuti di qualità ci sia una libertà di espressione unica.
Come definire il suo personaggio?
Un uomo inadeguato che si ritrova davanti a una tragedia e all’incapacità di fare il padre, non sa gestire la fine del rapporto con la moglie che abbandona casa e famiglia dopo la morte del loro secondogenito, né la relazione con Martina che si ritiene responsabile dell’accaduto. Cordiale è un padre distratto che non vuole vedere, è un uomo che ha subito un dramma e nella rimozione di un dolore così forte, non ha saputo tenere alta la soglia di attenzione sull’altra figlia. C’è in lui un po’ di vigliaccheria e meschinità.
Che padre è Gian Marco Tognazzi?
Non distratto, ma involontariamente assente, anche se cerco di essere presente il più possibile. Nella mia esperienza, sono cresciuto con la presenza-assenza di mio padre, Ugo c’era, ma non c’era mai. Aveva una mole di lavoro talmente grande che spesso era via, al contempo accentrava attraverso la cucina e le cene ludiche e di lavoro. Il mondo arrivava dentro casa nostra, in campagna. Ed è qui a Velletri che viviamo da quando sono nati Andrea (13) e Tommaso (7), esattamente dove sono cresciuto io con mio padre. Sono legato al rapporto di vicinanza con i miei figli, che non vuol dire essere attenti, la vicinanza è una cosa, l’attenzione un’altra. A volte mi rendo conto di stargli troppo addosso, ma egoisticamente parlando dico che è una mia necessità. Loro sono un punto fondamentale, li amo in una maniera folle, farei qualsiasi cosa se me lo chiedessero, insieme a mia moglie sono state le gioie più grandi della mia vita.
Che rapporto ha con i sensi di colpa?
Bellissimo, il più grande insegnamento che involontariamente mio padre mi ha dato è l’onestà intellettuale, nel bene e nel male. Io sono uno che dice tutto quello che pensa, pagandone anche le conseguenze. Difficile che con me si arrivi a un malinteso: sono sempre uno che dice la verità, non mi nascondo dietro le bugie, per questo, sensi di colpa non ne ho. Nell’amicizia, nell’amore e nel lavoro tendo a chiarire, casomai si dovessero verificare determinate circostanze. Fingo solo quando sento la parola “azione” e smetto quando sento la parola “stop”, purtroppo c’è molta gente che nella vita recita. Chi fa l’attore recita quando deve lavorare, io nella vita sono quello che sono. Forse l’unico senso di colpa che ho è nei confronti di me stesso, avrei potuto approfondire i miei studi, anche se, con tutto rispetto per la scuola che ritengo indispensabile, questo non ha influito molto su quello che volevo fare.
Un anedotto divertente sul set?
Vedere come doveva agire Renato (personaggio fantasy realizzato dalla Factory Makinarium, n.d.r.) nelle scene in cui c’ero anch’io che, peraltro, non dovevo vederlo. Quando hai a che fare con un elemento al di fuori del canone dei rapporti, è molto suggestivo. Io l’ho vissuto poco perché non mi ci dovevo rapportare, solo Martina poteva vederlo, ma è stato molto interessante. L’idea della coscienza rappresentata da un pupazzo, vero e proprio co-protagonista nel film, è molto originale, una volta c’era l’amico immaginario. Un debutto davvero molto interessante.
Come vanno gli affari alla Tognazza, l’azienda vitivinicola di famiglia?
Le cose vanno molto bene, sono molto soddisfatto, era la mia seconda passione e da dieci anni è diventata la prima. Negli ultimi tre anni, dopo il film di Gabriele Muccino, sono tornato ad avere una serie di opportunità e quello che si era trasformato in hobby, è tornato preponderante nella mia vita. Detto questo, tornare a vivere dove sono cresciuto è stata una scelta di vita, sono partito con l’idea di vedere se insieme a un team di giovani si poteva fare un percorso alternativo in un mondo difficile come quello vitivinicolo. Ugo aveva iniziato per se stesso, per avere i prodotti della terra, io ho voluto farne una realtà, concentrandomi sul vino. Negli ultimi cinque anni siamo riusciti a tracciare una strada tutta nostra e siamo apprezzati. Se c’è chi addirittura si ispira alle nostre etichette, significa aver colto nel segno. Mi piace dare un’immagine che in realtà nasconde una serie di altre storie, tutti pensano che quei vini siano un omaggio ad Amici Miei, perché sono i termini della supercazzola, ma pochi sanno che quei nomi nascono bevendo quel vino, dunque quel vino ha partecipato attivamente alla creazione stessa di quei termini. Al di là del vino c’è una filosofia di vita che è un modo di essere che viene da Ugo, lui amava sperimentare, rischiare, non si allineava agli standard, il suo approccio, la semplicità e la convivialità sono il nostro tratto distintivo.