Pochi mesi fa, subito dopo l’inizio della guerra in Ucraina, aveva lasciato il Bolshoi di Mosca di cui era diventato, primo italiano nella storia, principal dancer. Ora per il giovane danzatore comincia un nuovo capitolo come primo ballerino ospite della Scala. Lo abbiamo incontrato a poche ore dal suo debutto. L’INTERVISTA
“I balletti raccolgono sempre qualcosa di te. Per fare uscire fuori determinate emozioni ci scaviamo sempre dentro… probabilmente dopo questo periodo c’è qualcosa di più, per me”. Era stato appena nominato principal dancer del Bolshoi. Prima di lui, nessun italiano era mai riuscito neanche a entrare in quella che è considerata tra le più prestigiose e ambite compagnie al mondo. Poi l’inizio della guerra in Ucraina e la scelta, difficile e sofferta, di lasciare Mosca e il suo teatro.
Ora, per Jacopo Tissi, comincia una nuova avventura come primo ballerino ospite del Teatro alla Scala. Lo abbiamo incontrato a poche ore dal debutto in Giselle, grande classico del repertorio in scena fino al 16 luglio. Un ritorno a casa per il giovane danzatore, 27 anni, nato a Landriano, un paesino in provincia di Pavia, che dopo essersi diplomato con lode alla Scuola di Ballo dell’Accademia della Scala ha danzato nel corpo di ballo scaligero agli inizi della sua carriera, dopo una breve parentesi a Vienna, per poi volare a Mosca.
Jacopo, la tua carriera riparte dal Teatro dove un po’ tutto è iniziato con un titolo simbolo del romanticismo. È un ruolo che senti vicino a te?
È un balletto che mi è sempre piaciuto molto sia guardare che interpretare. La parte di Albrecht è molto complessa e la vera difficoltà consiste nel trasmettere l’evoluzione psicologica del personaggio. Ogni gesto deve riuscire a esprimere il lato interiore. Sono contento di averlo affrontato un po’ più avanti nella mia carriera, è uno di quei ruoli che cresce con te, e sono felice che sia questo il primo passo di questo mio nuovo capitolo qui al Teatro alla Scala di Milano.
Avevi già danzato Albrecht?
Sì, ho debuttato nella versione di Alexei Ratmansky a Mosca.
Avrai accanto la prima ballerina della Scala Nicoletta Manni che, l’ultima volta che ha danzato Giselle su questo palco, aveva avuto l’opportunità unica di preparare questo ruolo con Carla Fracci…
Con Nicoletta ci siamo ritrovati. Abbiamo ballato insieme nel mio primo anno di compagnia quando ero qui alla Scala. Più volte Nicoletta ha menzionato ciò che voleva Carla, io le ho parlato di quello che mi avevano trasmesso al Bolshoi e dell’idea dell’interpretazione che avevo pensato. C’è stato un bello scambio tra noi e ora aspettiamo lo spettacolo per incontrarci in scena.
Carla Fracci è stata la più grande Giselle di tutti i tempi. Cosa aveva di straordinario?
Il suo approccio spontaneo ma anche molto forte. Questa incredibile sincerità in ogni suo gesto, una grande profondità per cui qualunque sfumatura diventava un modo per dire qualcosa. Per i danzatori della Scala studiare in sala con lei è stata un’esperienza unica.
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È la prima volta che affronti questa versione di Giselle firmata da Yvette Chauviré che negli anni è diventata un po’ un cavallo di battaglia del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala. Cosa ti piace?
Tante cose. Prima di tutto la scenografia e i costumi, c’è una bella coordinazione di colori. E poi il fatto che la linea interpretativa sia molto chiara sempre, nel primo e nel secondo atto.
Sei stato il primo italiano nella storia ad essere nominato principal dancer del Bolshoi e anche l’unico che è riuscito ad entrare nella prestigiosa compagnia. Cosa ti manca dei cinque anni trascorsi a Mosca?
Mi manca la mia vita che è stata un po’ stravolta all’improvviso. Uno strappo che non potevo aspettarmi. Tuttavia non mi lascio abbattere da quello che sto cercando di guardare come qualcosa che appartiene al passato, anche se mi ha segnato. Ora mi sto concentrando al massimo e sto dando tutto me stesso per quello che verrà.
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L’ultima volta che hai danzato qui alla Scala è stato pochi mesi fa. Eri stato invitato a fine gennaio a danzare la Bayadére nella versione di Rudolf Nureyev. Avevi accanto Svetlana Zakharova, tua collega a Mosca e tua grande amica. Sei ancora in contatto con lei e con i tuoi maestri del Bolshoi?
Sì ci sentiamo, sono persone a cui io tengo molto così come loro tengono a me. Sono contenti dei miei spettacoli e delle mie nuove possibilità.
Come primo ballerino ospite del Teatro alla Scala, nella prossima stagione danzerai diversi titoli, tra cui anche Schiaccianoci. Tra l’altro proprio al termine di una recita di Schiaccianoci avevi ricevuto la nomina lo scorso anno…
Già, proprio il 31 dicembre… e combinazione sarà il primo balletto della prossima stagione. Sarà per me una nuova sfida perché conosco meno il repertorio di Rudolf Nureyev ed è anche un grande onore poterlo danzare visto che ricorrono i 30 anni dalla scomparsa di Rudy.
Ormai da alcuni mesi, da quando hai lasciato Mosca a inizio marzo, stai studiando con la compagnia della Scala. Cosa ti colpisce?
Tante persone le conosco, alcuni sono stati miei colleghi ma ci sono anche tanti ragazzi nuovi. Tante personalità diverse. è un nuovo gruppo che ha tanta voglia di spingere e di fare. Stanno sperimentando anche diverse cose nuove. Vedo che c’è un bell’affiatamento anche con il direttore Manuel Legris. Sono sicuramente su una buona onda.
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Durante la masterclass di Giselle, Carla Fracci ha detto alla prima ballerina Martina Arduino: “Libera quello che senti, in scena ogni giorno si crea”. Per te cosa accade sul palco e cosa cambia rispetto al lavoro in sala?
In sala è un lavoro lungo, di ricerca dei movimenti, dei passi. Della ricerca dei perché, del perché oggi ho deciso di guardare prima da questa parte o di fare una pausa più lunga. Poi, quando arrivi in scena, è un po’ come se fosse la prima e l’ultima volta. Non esiste uno spettacolo che assomigli a un altro. Ogni volta che scendi dal palco sei sempre un po’ un’altra persona. Io, quando inizia uno spettacolo, ho sempre la sensazione che sia un momento di calamità naturale. Come se stesse arrivando un uragano, qualcosa capace di sconvolgere tutto. Poi, quando finisce, ti rendi conto che tutto è rimasto al proprio posto. Eppure questa cosa è avvenuta… dentro di te.