Jacopo Tissi, l’étoile del Bolshoi di Mosca si racconta a Sky TG24. VIDEO

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Chiara Ribichini

A soli 26 anni è stato nominato Principal Dancer della prestigiosa compagnia. È il primo italiano nella storia. Lo abbiamo incontrato alla Scala, dove è stato invitato a danzare in “La Bayadére” di Rudolf Nureyev e dove tutto è iniziato. Dalla scuola ai primi ruoli, dall’incontro con Carla Fracci fino alla promozione arrivata al termine di “Schiaccianoci”. Una vita da fiaba partita da un piccolo paese in provincia di Pavia. L’INTERVISTA

È il primo italiano nella storia a diventare étoile del Bolshoi di Mosca. Prima di lui nessuno era mai riuscito neanche a entrare nella compagnia di balletto culla del repertorio classico. 26 anni, 27 il prossimo 13 febbraio, nato in un paesino in provincia di Pavia, Jacopo Tissi è entrato nell’olimpo dei divi del balletto russo. Lo abbiamo incontrato alla Scala dove è stato invitato a esibirsi in "La Bayadére", il balletto nella versione di Rudolf Nureyev che ha inaugurato la stagione del ballo, e dove è iniziata non solo la sua carriera ma anche tutto il suo percorso fin da bambino.

Torni alla Scala per danzare “La Bayadére”, lo stesso balletto che avevi danzato l’ultima volta su questo palco quattro anni fa. Questa volta, però, nella versione firmata da Rudolf Nureyev e con il corpo di ballo del Teatro alla Scala. Un’opportunità arrivata un po’ a sorpresa…
È stata una cosa che è successa molto in fretta, mi fa molto piacere essere tornato alla Scala, per me è sempre una grande emozione essere qui ed esibirmi per lo più in una nuovissima produzione come questa firmata da Luisa Spinatelli. Ed è molto bello per me ritrovare anche i miei compagni e colleghi di un tempo su questo palco.  
 

Un italiano che trionfa in Russia che torna in Italia per danzare una coreografia firmata dal danzatore russo che ha scritto la storia della danza qui in Occidente. Quali sono le caratteristiche di questa “La Bayadére”?
La versione di Nureyev conserva molte parti della coreografia originale di Petipa ma ha degli elementi e sfumature diverse, sia a livello tecnico sia nell’interpretazione di alcuni passaggi. Nureyev aggiunse, come in tutte le sue riletture dei classici, assoli maschili. E le sue coreografie si distinguono anche per una particolare attenzione all’estetica.

Un ritorno qui alla Scala che è diventato un po’ anche l’occasione per festeggiare la tua promozione a  Principal dancer del Bolshoi di Mosca. Mai nessun italiano prima era riuscito neanche ad entrare in una compagnia storicamente molto chiusa. Come sei arrivato a un traguardo così importante?
È stato un percorso con tantissime opportunità, anche con cambiamenti. Sono stato al Teatro alla Scala, poi al Bolshoi, adesso torno di nuovo a ballare alla Scala. Mi sento legato ad entrambi i teatri.
 

Ti aspettavi la nomina?
È difficile. A volte si può avere la sensazione che stia per arrivare qualcosa, può essere nell’aria poi però quando viene concretamente esplicitata è tutta un’altra cosa. Lo spettacolo del 31 dicembre è tra l’altro molto atteso a Mosca. È una serata-evento. Aver ricevuto questo riconoscimento proprio in quel giorno è stato qualcosa di ancora più speciale.
 

Una nomina arrivata al termine di uno Schiaccianoci. Un balletto che ha segnato la tua carriera…
Sì è vero, ho danzato lo Schiaccianoci nel mio primo spettacolo da allievo della Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala, poi anche nel passo d’addio al termine degli studi.

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Cosa ti ha dato la scuola?
La scuola è la base dove costruisci quello che poi sarà il materiale su cui lavorare in teatro. È molto importante lo studio e il rapporto che si crea con i maestri ma è fondamentale anche il contributo dell’allievo, la dedizione. Bisogna lavorare tanto su se stessi per crescere ogni giorno e ricevere il massimo degli insegnamenti ricevuti.
 

Quali sono stati i tuoi punti di riferimento?
Sicuramente Baryshnikov, Nureyev, Vassiliev. Sono sempre stato molto affascinato dal balletto russo. Ho avuto un’affinità con il loro modo di ballare.
 

In “La Bayadére” danzi insieme a Svetlana Zakharova. Il vostro è un po’ ormai un sodalizio artistico?
Abbiamo iniziato a lavorare insieme quando, neanche ventenne, debuttai con “La Bella Addormentata” di Ratmansky qui alla Scala. Lo definisco sempre il mio battesimo di scena. Abbiamo poi continuato a lavorare insieme al Bolshoi in diverse produzione sia moderne sia del repertorio. Sono molto contento e anche fortunato di poter lavorare accanto a una persona di grande professionalità. Avere un riferimento di questo tipo vicino vuol dire imparare ogni giorno, dalla preparazione, dall’approccio, dalla considerazione della danza stessa e di come vengono lavorati i ruoli. Si è creato un bel rapporto anche di amicizia e credo che questo porti un valore aggiunto.

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Hai avuto anche la fortuna di incontrare la signora Fracci nel tuo percorso, che ricordo hai?
Sì, sia quando ero allievo in Accademia sia successivamente. Mi ricordo quando, nel 2018, era venuta qui dietro le quinte al termine di una recita di “La Bayadére”. Ricevere i suoi complimenti, le sue parole... Non posso dimenticare quel momento. È sempre stata una persona per la danza. Resterà per sempre una grande eredità.
 

Carla Fracci diceva: “In scena si crea, ogni giorno è diverso”. Quanto ti ritrovi in queste parole?
Ogni spettacolo è unico ogni volta. È un po’ come sempre la prima e l’ultima volta di qualcosa.
 

Come ti chiamano i fan in Russia?
Jasha, ho già il mio nome tradotto.
 

Cosa ti manca dell’Italia?
Quando partiamo e lasciamo dei posti sono più le persone di cui sentiamo la mancanza. Ma sono dei momenti. Quando hai una vita che per te è interessante è comunque una vita piena di per sé.

Il tuo futuro dove lo vedi?

È difficile. Per adesso sicuramente a Mosca, poi si vedrà. La vita di un artista a volte può cambiare in modo inaspettato.

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