Il merito va ai ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, che hanno scoperto uno tra i più grandi nuclei vulcanici sottomarini italiani
Un’importante ricerca dell’Ingv, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, ha permesso di scoprire uno tra i più grandi nuclei vulcanici sottomarini del nostro Paese, fino ad oggi ancora sconosciuto. Il lavoro degli esperti italiani, pubblicato anche sulla rivista Tectonics dell’American Geophysical Union, ha permesso di individuare infatti, ad una distanza di 15 chilometri dalla costa tirrenica calabrese, il complesso vulcanico, che si è sviluppato dalla fusione di materiale proveniente dal mantello lungo e, in particolare, da una profonda frattura della crosta terrestre.
Numerosi corpi magmatici in profondità
Questo complesso vulcanico, costituito dai vulcani denominati Diamante, Enotrio e Ovidio, secondo gli esperti si sarebbe formato nell’arco degli ultimi 780.000 anni, così come riporta un articolo apparso proprio sul portale dell’Ingv. L’analisi dei dati raccolti dai vulcanologi ha evidenziato che la presenza di un’ampia area caratterizzata da numerosi corpi magmatici solidificati a diverse profondità, è risalita fino al fondale marino formando gli edifici vulcanici.
I dettagli della formazione
“L’evoluzione geologica del Mediterraneo occidentale durante l’era cenozoica è stata controllata principalmente dalla dinamica della placca adriatico-ionica in scorrimento al di sotto della placca euro-asiatica”, ha raccontato Riccardo De Ritis, ricercatore dell’Ingv e primo autore dell’articolo legato alla scoperta. L’esperto ha inoltre spiegato le dinamiche relative al processo di formazione: “La segmentazione e la fratturazione della litosfera oceanica sono processi che avvengono comunemente nei sistemi in subduzione e prevedono la formazione di porzioni di placche che si immergono nel mantello”, ha detto. Nel Mar Tirreno orientale, spiegano ancora i vulcanologi, la formazione di catene di vulcani situate vicino al bordo della placca adriatico-ionica viene spesso associata alla risalita di magma causata dal flusso di materiale proveniente dal mantello, indotta proprio dal meccanismo subduzione.
Due distinte aree
Nel dettaglio il complesso vulcanico individuato nel Mar Tirreno è stato suddiviso dagli esperti in due porzioni, al fine di studiarne la morfologia. Una parte occidentale, più distante dalla costa, i cui edifici vulcanici presentano un’area accidentata e deformata da strutture tettoniche. L’altra, ovvero la parte orientale e quella più vicina alla costa, presenta invece edifici vulcanici arrotondati dalla sommità pianeggiante. Il motivo di questa forma è spiegato dal fatto che l’interazione tra attività vulcanica e variazioni del livello del mare abbiano generato nel tempo cicli di erosione e sedimentazione.
L’importanza della scoperta
L’importanza della ricerca, così come ha spiegato De Ritis, getta così nuova luce sull’esistenza di importanti complessi vulcanici sul fondale marino italiano, a distanze dalla costa molto inferiori di quanto non si fosse pensato in precedenza.