Volo spaziale, Villadei: "Vorrei portare la bandiera italiana sulla Luna"

L’astronauta Walter Villadei è in Italia con la famiglia, prima di rientrare a Houston per la ripresa delle scuole delle tre figlie. Il Colonnello dell’Aeronautica militare, pilota della missione spaziale Ax-3 nel 2024 e comandante del volo orbitale Virtute 1, è impegnato in una serie di riunioni per fare il punto sull’attività in corso con Axiom, l’azienda spaziale statunitense con cui il nostro Paese ha siglato un memorandum di cooperazione per lo sviluppo e l’attuazione di progetti aerospaziali. Mentre spiega a Sky Tg24 Insider il ruolo sempre più strategico del commercial spaceflight Villadei ha rappresentato l’Italia come addetto per lo spazio all’ambasciata di Washington e come capo rappresentanza a Houston, e l’impegno da pontiere spaziale tra due mondi. Colonnello Villadei, come sta procedendo il suo lavoro a Houston e qui con l’Aeronautica Militare? “Il lavoro sta procedendo in maniera dinamica e intensa, stiamo vivendo un momento unico non solo in Italia, ma anche per le dinamiche negli Stati Uniti ed in generale per la comunità spazio. A Houston con Axiom sono stato coinvolto nell’attività addestrativa della missione Axiom-4 come back-up commander, dal punto di vista dell’astronauta è sempre utile rimanere aggiornato rispetto alle varie procedure, poi li sto supportando nello sviluppo delle tute per le attività extraveicolari, per testare questi nuovi dispositivi che sono quelli che accompagneranno i primi astronauti Nasa sulla Luna e che Axiom sta realizzando, e infine, sempre con Axiom, l’attività è quella dello sviluppo del Memorandum of Understanding con l’Italia, ovvero cercare di costruire una progettualità concreta e devo dire con grande soddisfazione che nelle ultime settimane è partito uno studio di fattibilità estremamente interessante tra parte italiana e controparte americana per delineare come e in che tempi potremmo contribuire ad implementare operativamente l’infrastruttura di Axiom. Qui in Italia credo che sia sempre importante raccontare e condividere quello che succede negli Stati Uniti, vivendo lì sto cercando di supportare le nostre istituzioni, Aeronautica in primis, Difesa e Comunità nazionale a mantenere questo rapporto forte, in particolare sul tema del commercial spaceflight”. A che punto sono le tute Axiom per la Luna e qual è il suo contributo alla messa a punto di questi dispositivi? “Si tratta di tute extraveicolari completamente nuove perché l’ambiente operativo sulla Luna è sostanzialmente differente da quello di una Stazione spaziale internazionale e quindi Axiom le sta implementando con i requisiti ricevuti dalla Nasa. C’è stata una prima con un astronauta giapponese, che è uno dei miei tre colleghi all’interno dell’Astronaut Office di Axiom, nella piscina del Neutral Buoyancy Laboratory. Io ho testato la tuta nel simulatore chiamato Dry, che vuol dire a secco, quindi indossandola e simulando le operazioni di entrata e uscita dal lander lunare e provando a fare una prima camminata su un treadmill, un tapis roulant. Nelle prossime settimane sono in programma ulteriori passeggiate per testarne la resistenza, ovvero vedere quanto a lungo si può effettivamente, stando dentro questa tuta, camminare ad un certo ritmo perché quello che faranno gli astronauti sulla Luna sarà camminare e quindi c’è anche un discorso di ergonomicità, di controllo del life support system della tuta verso l’astronauta, tutte condizioni che vanno testate in vario modo e io sto dando un supporto ad alcune di queste prove”. Che emozione è indossare una tuta del genere sapendo che un domani servirà per camminare ed operare sulla Luna? “L’emozione è grande e c’è anche la consapevolezza che i feedback che diamo e le attività che svolgiamo le dobbiamo fare pensando che un nostro collega un domani sarà lassù, magari forse noi stessi, quindi cercando di focalizzare l’attenzione sull’importanza di una cosa che si è fatta l’ultima volta quasi sessanta anni fa, e attualizzarla è una grande responsabilità, ma anche qualcosa di estremamente affascinante e stimolante dal punto di vista tecnico e che richiede uno sforzo di immaginazione, non hai i riferimenti di qualcuno che ti dice: l’abbiamo già fatta, quindi devi calare te stesso, la tua esperienza, grande o piccola che sia, e la tua attività operativa pregressa cercando di immaginare come quello che sai può aiutare a facilitare il lavoro che sarà poi in futuro sulla superficie lunare”. È rientrata sulla terra la missione privata Axiom-4, guidata dall’astronauta americana Peggy Whitson e organizzata dall’azienda aerospaziale che punta a realizzare prima stazione spaziale commerciale dopo la dismissione della ISS. Che ruolo potrebbero giocare le compagnie come Axiom da qui ai prossimi anni? “Io direi innanzitutto che i privati hanno già cambiato il panorama spaziale internazionale, sicuramente negli Stati Uniti osserviamo una dinamica più veloce e il loro ruolo è diventato abbastanza consolidato, anche se si stanno stabilendo nuove regole e nuove modalità di interazione in questa sorta di collaborazioni pubblico-privato. Il privato nello spazio è sempre esistito, l’industria c’è sempre stata, ma era un ruolo diverso, di chi riceveva da un committente la richiesta di sviluppare un sistema, lo sviluppava e il committente, di solito la Nasa, poi lo possedeva; qui invece c’è una condivisione di obiettivi con i privati che stanno diventando dei partner a tutti gli effetti, e partner significa non solo condivisione dei costi ma anche dei rischi e significa anche una condivisione di visione, quindi se guardiamo ad esempio al programma Artemis per il ritorno sulla Luna si vede che la presenza dei privati è forte, e che i privati avranno un ruolo fondamentale, un ruolo abilitante per rendere questa economia dello spazio sostenibile e per spingere oltre l’innovazione con schemi e con approcci nuovi, anche più efficienti e quindi il cambio di paradigma fondamentale che dobbiamo osservare, e in questo senso è un privilegio riuscire a mantenere i rapporti con Axiom, è che il privato diventa una controparte del mondo istituzionale per rendere attuale un obiettivo comune, cioè quello di espandere la nostra capacità di esplorazione dello spazio”. In un articolo sull’ultimo numero della rivista Airpress lei sostiene che sarebbe più corretto definire le future stazioni spaziali commerciali come infrastrutture strategiche orbitanti. Perché? “È un cambio di linguaggio, non tanto perché la definizione di Stazione spaziale sia sbagliata, semplicemente a mio avviso comincia a non essere più attuale. Il concetto di stazione è di per sé qualcosa di statico, che esprime una capacità ferma nel tempo, chiaramente spaziale perché è l’ambiente in cui ci troviamo: l’ISS è una stazione spaziale, è stata un laboratorio che nel 2028 esisterà da trent’anni e che per tutto questo tempo ha svolto questa funzione, mentre le nuove stazioni spaziali saranno qualcosa di diverso, saranno delle piattaforme orbitanti, degli innovation hub dove si farà innovazione di tipo applicativo con il contributo dei privati e delle industrie, saranno dei nodi di un’infrastruttura digitale e spaziale che oggi vede trasferire nello spazio tantissime informazioni, dove potremo addirittura trasferire manifattura terrestre, supporteranno non solo la logistica terrestre ma anche la logistica lunare e saranno delle piattaforme da dove potremo osservare la Terra, per sperimentare anche alcune soluzioni di sostenibilità su quelle che sono le grandi tematiche mondiali. Chiaramente questa presenza dei privati, questa dinamicità rende probabilmente queste stazioni qualcosa che nel tempo si modificherà in maniera plastica e molto più rapida rispetto a quelle che sono state le vecchie stazioni a partire dallo SkyLab, la Mir e poi la Stazione spaziale internazionale”. Qual è l’impatto strategico e geopolitico del commercial spaceflight e che ruolo dovrebbero giocare in questo campo l’Europa e l’Italia? “In parte la risposta sul ruolo geopolitico e strategico del commercial spaceflight la troviamo già racchiusa nelle prime esperienze. Se noi guardiamo alle prime quattro missioni condotte da Axiom, a partire da una prima missione che si caratterizzava per astronauti completamente privati, la seconda, un misto con due astronauti sauditi e due privati, e la terza, alla quale ho avuto l’onore di partecipare, una missione governativa con un comandante di Axiom e tre astronauti che venivano dalle istituzioni di tre Paesi e infine la quarta missione, con il primo astronauta indiano e altri due astronauti europei, bene alcuni di questi Paesi, seguendo quelle che sono ed erano le procedure standard di ingresso al programma della Stazione spaziale internazionale non avrebbero neppure fatto in tempo ad arrivare a bordo della ISS. Questo nuovo commercial spaceflight crea delle geometrie diverse, con opportunità di collaborazione diplomatica che sono straordinariamente importanti perché alcuni Paesi emergenti hanno anche delle visioni verso lo spazio molto importanti e l’India è uno di questi; quindi, riuscire a costruire questi rapporti è a mio avviso fondamentale non solo dal punto di vista tecnologico, ma anche geopolitico e strategico. Il ruolo dell’Europa e dell’Italia? Storicamente siamo un continente che ha avuto e continua ad avere un ruolo fondamentale nelle attività spaziali. L’Italia all’interno di questa geografia è sicuramente un Paese centrale assieme ad altri, il secondo o terzo investitore nell’Agenzia spaziale europea, uno dei principali partner con gli Stati Uniti, ricordo che l’Italia è l’unico Paese europeo ad avere avuto nel tempo questo accordo di collaborazione bilaterale per la produzione di moduli logistici pressurizzati. Ora indubbiamente gli americani hanno messo un’accelerazione a questo processo di trasformazione e io osservo che l’Europa forse è stata anche colta di sorpresa ma è un po’ in ritardo; quindi, noi abbiamo come Italia un’opportunità e una responsabilità fondamentale. L’opportunità è utilizzare la nostra expertise e la nostra conoscenza industriale, tecnologica, scientifica, istituzionale per consolidare il rapporto con gli americani e quello che stiamo facendo con Axiom va esattamente in questa direzione, essere un ponte tra questi due mondi, riuscire a portare in Europa parte di questa mentalità per far sì che non nei prossimi due tre anni, ma in dieci quindici, vent’anni si possa arrivare a dei risultati ambiziosi, come quello di avere una Stazione Spaziale Europea, che non si inventa in due giorni ma richiede un processo molto complesso, quindi direi che è una partita geopolitica importante. Gli americani definiscono lo spazio contested, congested and competitive; quindi, se in un mondo stabile com’è stato negli ultimi trent’ anni potevamo attendere, in un mondo in così rapida trasformazione dobbiamo cercare di capire come adattarci in maniera altrettanto rapida”. L’Italia si è dotata, in anticipo rispetto all’ Europa, di una legge per disciplinare il settore della Space economy. Sarà d’aiuto in questo contesto, soprattutto su aspetti come burocrazia e visione strategica? “La legge di cui l’Italia si è dotata è una sfida e io credo che il nostro Paese abbia ulteriormente dimostrato di avere capacità di visione prospettica e strategica di lungo periodo perché ha individuato un tema centrale: questo spazio che si sta modificando è privo di norme adeguate, ora la sfida sarà trasformare questa legge di principio in modalità attuative che non diventino un appesantimento burocratico ma un’opportunità per garantire allo spazio sicurezza, disponibilità delle risorse e pari opportunità nel loro utilizzo in un mondo che è estremamente competitivo; questa è la partita tutta aperta che le istituzioni, a partire dal Ministero della Difesa, l’Autorità nazionale per lo Spazio, la Presidenza del Consiglio insieme alla comunità spaziale nazionale, industriale e scientifica dovranno affrontare in modo tale da dotare il nostro Paese di un ulteriore strumento di competitività che renda l’Italia, con le sue straordinarie capacità, un apripista nel settore della regolamentazione e della sicurezza nello spazio”. Dal suo osservatorio privilegiato di Houston, come giudica i tagli di budget e di personale alla NASA e che effetti potrebbero avere sul programma Artemis per il ritorno sulla Luna a cui l’Italia sta partecipando? “C’è un processo di trasformazione negli Stati Uniti che è ancora incompiuto, la Nasa continua a non avere un amministratore assegnato con pieni poteri, l’amministrazione del presidente Trump ha fatto una proposta come Casa Bianca al Congresso che è stata rigettata con una controproposta che non è stata finalizzata; quindi, si è nel mezzo di una trasformazione e questo è abbastanza fisiologico. Il programma Artemis, guardandolo con attenzione, risponde alle logiche del vecchio space, quindi il grande programma di collaborazione internazionale con grandi industrie che producono sistemi complessi, lunghi e ahimè diventati forse eccessivamente costosi che sta rallentando l’obiettivo strategico di arrivare per primi sulla Luna; lo stesso Gateway rischia di essere un’infrastruttura difficile da sostenere, e poi considerando i costi e il fatto che è utilizzabile per pochi mesi l’anno quanto è veramente utile rispetto alla logistica lunare? Ho ritrovato un documento molto interessante del 1958 nei database della Nasa di uno studio che fece l’Aeronautica Militare americana per costruire la prima stazione spaziale lunare; chiaramente era un mondo completamente differente, ma è estremamente interessante per due motivi: primo, la prima parte di questo studio è esattamente il programma Apollo, che prevedeva il Saturn V con tre, quattro stadi e poi ne prevedeva un’evoluzione con cinque stadi e prevedeva il primo sbarco nel 1964, con una base permanente nel 1969, quindi veramente delle visioni che erano già avanti al tempo, ma il punto più importante era il trasporto: nelle varie ipotesi che facevano in questo studio si ipotizzava come maggior convenienza un volo diretto, e anche in quel caso il costo del lanciatore era fondamentale. Per riassumere: Artemis è un programma che è sotto grande attenzione perché il rischio è che diventi un appesantimento così poco sostenibile da rallentare gli americani nel loro obiettivo strategico di arrivare sulla Luna, a un costo che in cambio non darebbe loro neanche la capacità che cercano. L’Europa è in grande difficoltà perché non ha, sulla Luna, una strategia autonoma, e anche questo penso che per l’Italia avere un rapporto bilaterale con gli americani così forte sia fondamentale, nell’interesse non solo nazionale ma anche dell’Europa. C’è in corso una discussione molto aperta e molto interessante e sfide tecnologiche non banali: bisognerà trovare il giusto compromesso, vediamo come evolve la situazione nei prossimi mesi”. In questo quadro che ruolo potrebbero giocare le ambizioni di Paesi come la Cina sulla Luna e anche su Marte in prospettiva? “Io credo che questa sorta di space race 2.0 abbia delle caratteristiche che in parte richiamano quella che era stata la competizione tra Stati Uniti e Unione sovietica, seppur non verso la Luna ma verso lo spazio; è chiaro che i contorni sono differenti e probabilmente in quel caso parlavamo di una sorta di sprint di cento metri, il primo che arriva ha vinto, mentre qui parliamo di una maratona, di costruire un’infrastruttura permanente sulla Luna. La Cina ha già dimostrato di avere tutte le capacità: per prima ha messo un rover e ha preso dei campioni. È da osservare anche che il primo jet americano ritornato sulla Luna è di un privato, Intuitive Machines, che è arrivato seppur con una missione non completamente di successo, ma sulla Luna. La stessa Nasa ha dato il via a un programma per finanziare lo sviluppo di payload privati verso la Luna e la stessa architettura Artemis si basa sulla presenza di privati; ora arrivare sulla Luna qui diventa una competizione geopolitica, non credo militare pura in senso stretto, ma certamente con interessi geostrategici e di sicurezza molto molto forti; c’è un tema di presidio dell’architettura complessiva tra Terra e Luna, c’è un tema di presidio delle orbite basse, che è il motivo per cui iniziative come quelle di Axiom assumono un valore che è anche geopolitico, perché le orbite basse saranno abilitanti per rendere supportabile il programma sulla Luna, e ci sarà un tema di presenza fisica e anche lì si apriranno dibattiti sulla parte regolamentare che consentirà di gestire una coesistenza. Il punto è: se uno arriva da solo per primo e non c’è nessun altro è chiaro che prende un po’ “il possesso”; la presenza invece contestuale di più attori impone una negoziazione e la condivisione di norme; quindi, in questo senso c’è un interesse secondo me non solo americano ma che dovrebbe essere internazionale di non rimanere troppo indietro in questa competizione. Aggiungo anche che non è solo la Cina ad avere aspirazioni e ambizioni verso la Luna: l’India ha un programma altrettanto aggressivo e altri Paesi la stanno guardando seppur con aspirazioni più basse, dagli Emirati Arabi al Giappone. L’Europa, anche qui, probabilmente dovrà fare uno sforzo per capire come e con quali geometrie supportare questa graduale e progressiva espansione verso la Luna; l’Italia ha delle capacità tecnologiche che ha messo in campo con Artemis, bisognerà forse fare un ripensamento sulla logica complessiva”. Terry Virts, ex astronauta Nasa recentemente intervistato da Sky Tg24 Insider, sostiene che se fosse per lui punterebbe direttamente alla Luna senza passare da una base orbitante. Cosa diceva lo studio degli anni ’50 che ha ritrovato a questo proposito? “Prevedeva esattamente questo, con uno sforzo aggiuntivo per realizzare un lanciatore addirittura più grande, lì si ipotizzava un Saturn V con cinque stadi ed un lanciatore ancora più grande che si chiamava Nova e che a mio avviso assomiglia molto a un concetto di Starship, per quanto quest’ultimo non sia ancora human rated, e lo studio in questione diceva esattamente che era molto più conveniente un lanciatore per arrivare direttamente sulla Luna piuttosto che avere un’infrastruttura. Ricordo che la Stazione Spaziale Internazionale essendo a circa 450 km è protetta dalla magnetosfera terrestre, quindi già lì gli astronauti soffrono di radiazioni che assorbite per mesi hanno un certo impatto; volare attorno alla Luna su un punto lagrangiano rimanendo esposti completamente alle radiazioni cosmiche significa, da un punto di vista della sostenibilità dell’astronauta, limitare molto il periodo di esposizione e significa che o aumento il numero dei voli per garantire la presenza degli astronauti, e questo riporta il problema sul segmento del lanciatore, oppure non posso rimanere lì ma devo andare sulla superficie della Luna. Questi erano gli stessi ragionamenti che si fecero, al tempo, negli anni Sessanta. Io credo che il Gateway fosse nelle intenzioni una soluzione di compromesso più diplomatico che non tecnologico, cioè trovare un oggetto che potesse aggregare più Paesi rendendo a tutti di interesse il programma lunare, ma da un punto di vista strettamente tecnologico, operativo e strategico il modo migliore è arrivare direttamente sulla Luna”. Anche alla luce della sua esperienza in orbita, come sta cambiando il profilo dei professionisti che si troveranno ad andare oltre la Stazione spaziale internazionale, verso la Luna? “Questo commercial spaceflight sta aprendo la porta ad una serie di profili professionali molto differenti tra loro: la generazione degli astronauti dopo le missioni Apollo, e nella quale in qualche modo mi inserisco anche io, è abbastanza omogenea, alcuni con background militare, alcuni con background scientifico ma è abbastanza standard e questo anche perché gli astronauti sono addestrati tutti più o meno nello stesso modo, con alcune differenze su specifiche capacità che alcuni acquisiscono durante l’addestramento per dei task molto particolari. Quello che accadrà in futuro sarà avere la possibilità, proprio grazie al commercial spaceflight, di vedere gente differente volare: non solo privati, ma ad esempio professionisti che vengono dal mondo dell’industria per sviluppare progetti nelle stazioni in orbita bassa o gente che dal mondo universitario va nello spazio per fare attività. Quindi ci dobbiamo preparare ad avere anche un processo di formazione più calibrato su quelli che sono i background di provenienza dei professionisti. È chiaro che la Luna rappresenta una sfida ulteriore: come si vola e come si opera in orbita bassa lo abbiamo imparato negli ultimi trent’ anni, mentre riuscire a gestire operazioni complesse sulla Luna probabilmente richiede ancora dei profili molto più qualificati, perché maggiore è l’incertezza operativa, il database, la statistica, l’esperienza di quel tipo di volo non è sufficientemente matura, ma questo non significa, considerando che il mondo privato commerciale è già presente da protagonista nel programma Artemis e lo sarà nell’architettura lunare, che non vedremo professionisti dal mondo dei privati arrivare sulla una, non aspetteremo io credo trent’anni per avere un’infrastruttura privata commerciale sulla Luna come abbiamo aspettato quasi trent’ anni per avere la prima stazione spaziale commerciale in orbita bassa. Ci sarà una dinamicità molto maggiore e devo dire che, come Aeronautica Militare, abbiamo guardato a questa opportunità offrendo ad Axiom la possibilità di volare con nostri velivoli in ottica di addestramento di profili diversi, così da esporre anche profili non tradizionali all’attività di volo, che è estremamente formativa per un astronauta che deve andare nello spazio. Bisogna essere pronti anche ad elaborare strategie di addestramento nuove e queste sono opportunità ulteriori anche per l’Italia”. E l’astronauta Walter Villadei, che cosa si augura per la sua attività futura e a quale missione sogna di partecipare? “Se dovessi sognare, direi che certamente la sfida di arrivare su Marte è quella che è beyond, oltre tutto quello che è possibile; chiaramente penso che Marte richieda ancora un impegno notevole e non credo che sia operativamente raggiungibile nel giro di pochi anni, anche se lascerei Elon Musk a provare ad affrontarlo per vedere magari dove possa arrivare. Certamente supportare un posizionamento dell’Italia in orbita bassa, ma perché no anche lunare, sarebbe un traguardo prestigioso e sarei onorato di portare una bandiera italiana sulla Luna, ma la cosa più importante su cui mi sto concentrando da qui ai prossimi anni è sostenere l’Italia, l’Aeronautica e la Difesa nelle attività strategiche orbitanti, quindi riuscire a finalizzare questa collaborazione iniziale che abbiamo avviato con Axiom, che è solo la prima di tante collaborazioni che l’Italia potrà attivare nei prossimi anni, per renderci ulteriormente protagonisti di questa nuova fase e consentire così al nostro Paese di avere un accesso allo spazio, seppur in orbita bassa, disponibile per il mondo industriale e il mondo scientifico. Ma la Luna è lì, e io penso che sia alla portata; quindi, sarei sicuramente onorato di supportare la strategia nazionale, guardando dalle orbite basse fino alla luna”.

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Marta Meli