Cos’è l’effetto Matilda e perché dimentichiamo il contributo femminile nella Scienza

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Secoli di talento e scoperte non riconosciuti sono il risultato di un pregiudizio radicato, che ha portato a dimenticare il contributo fondamentale delle donne nel progresso delle società

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Le donne non hanno "alcun genio inventivo o meccanico": nel 1870 la suffragetta e attivista abolizionista statunitense Matilda Joslyn Gage riportava questo come il pensiero più diffuso del tempo nel suo libro “Woman as an Inventor”, in cui denunciava come dietro alcune tra le più importanti scoperte scientifiche ci fossero donne che nessuno aveva mai conosciuto, o che qualcuno aveva sentito nominare ma poi aveva dimenticato. 

La ragione era il pregiudizio secondo cui le donne non avessero talento per le scienze, tanto che non valeva la pena investire sulla loro formazione. Quando alcune decidevano di sfidare la società e intraprendere la carriera scientifica,  accadeva che le loro conquiste venissero attribuite a uomini. 

Per le donne, rivendicare i risultati delle proprie ricerche era spesso inutile: la società dell’epoca favoriva il marito in materia di proprietà dei brevetti, e la difficile conquista di una indipendenza economica impediva alle scienziate di raccogliere i risultati del proprio lavoro. 

Cos'è l'effetto Matilda

L’espressione “effetto Matilda" fa riferimento alla sistematica esclusione delle donne dalla carriera scientifica. Alla base del fenomeno si trovano sia una sottovalutazione dei risultati scientifici conseguiti dalle donne, sia l’attribuzione dei risultati delle loro scoperte a un collega uomo. 

La prima a parlare di questo bias cognitivo è stata la storica della scienza statunitense Margaret W. Rossiter nel 1993. 

Tra i casi alla base della tesi di Rossiter c’era anche quello di Trotula de Ruggiero, medica salernitana vissuta tra l’Undicesimo e il Dodicesimo secolo, le cui ricerche sono state attribuite a un uomo. Il motivo? Un monaco che si stava occupando di trascrivere i suoi testi diede per scontato che ci fosse un errore: una persona così esperta non poteva che essere un uomo. Copiò male il suo nome, consegnando i suoi scritti alla storia ma attribuendoli a un autore maschio. 

Diversi secoli dopo, l’effetto Matilda sembra persistere nella società. Un esempio è riportato da Lisa Lamm sul blog Lost Women of Science: nel 1945 Otto Hahn ricevette il premio Nobel per la chimica per aver scoperto la fissione nucleare. La sua storica collega, la fisica Lise Meitner, non ottenne nulla, anche se la sua conoscenza e il suo lavoro erano stati essenziali nella scoperta.

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La scienza è ancora una cosa "da uomini"

Se ancora oggi meno di quattro ragazze su dieci scelgono di iscriversi a una facoltà scientifica abbiamo un problema. Non è che le donne non siano interessate alle materie STEM (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica), infatti, più della metà di loro ha dichiarato di esserne incuriosita ma molte pensano di non essere "all'altezza". La scienza, nella narrazione patriarcale che ancora influenza le nostre vite, è una cosa da uomini. 

Secondo Rossiter, le donne continuano a subire diverse discriminazioni nel mondo scientifico come la “segregazione gerarchica”, ossia l’assenza di donne in ruoli di potere e responsabilità; e un bias nel sistema di valutazione e di riconoscimento dei risultati e dei lavori scritti dalle scienziate: le citazioni ricevute da lavori realizzati da scienziate sono meno rispetto a quelle di analoghe ricerche scritte da colleghi uomini.

Come combattere l’effetto Matilda

La ricerca della storica statunitense è un contributo importante per riscoprire le tante identità e ricerche di donne dimenticate. Un altro esempio è l’archivio “The Untold History of Women in Science and Technology” dove sono raccolte storie come quella di Ana Roqué de Duprey che scrisse lo studio più completo della flora dei Caraibi all'inizio del XX secolo, o Edith Clarke, pioniera dell’ingegneria elettrica, e tanti altri nomi che suonano ancora troppo lontani. 

Per valorizzare il lavoro delle donne STEM occorre tornare indietro e completare il lavoro di Rossiter: dimostrare che se nei libri di scuola si parla ancora quasi esclusivamente al maschile non è perché le donne non abbiano «alcun genio inventivo o meccanico», ma perché la loro storia deve ancora essere raccontata. 

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