È quanto emerso da uno studio dell'Università di Cambridge che ha analizzato i cambiamenti geografici di 16.919 specie dal 1700 a oggi
Uno studio dell'Università di Cambridge ha dimostrato che quasi tutti gli uccelli, i mammiferi e gli anfibi conosciuti avrebbero già perso il 18% del loro habitat, a causa dei cambiamenti climatici e della conversione del territorio per espandere le aree agricole e urbane. Nello scenario peggiore questa percentuale potrebbe raggiungere il 23% entro il 2100. Questa è l’ipotesi avanzata da un team di ricercatori, coordinato da Andrea Manica, dopo aver analizzato i cambiamenti geografici di 16.919 specie, dal 1700 a oggi.
Lo studio nel dettaglio
Lo studio, descritto nel dettaglio sulle pagine della rivista specializzata Nature Communications, ha permesso al team di ricerca di riuscire a prevedere i possibili cambiamenti geografici che potrebbero avvenire nei prossimi 80 anni, sotto 16 diversi scenari climatici e socio-economici. "La dimensione dell'habitat di quasi tutti gli uccelli, mammiferi e anfibi conosciuti si sta restringendo, principalmente per la conversione del territorio per espandere le aree agricole e urbane", ha dichiarato Robert Beyer, primo autore dello studio, precisando che alcune specie animali ne risentono più di altre.
Secondo quanto emerso dalla ricerca, il 16% delle specie ha già perso oltre la metà della propria estensione naturale storica. Percentuale che potrebbe raggiungere il 26% entro la fine del secolo in corso.
Le aree tropicali sono le più a rischio
Le zone geografiche più a rischio sono soprattutto le aree tropicali, dove negli ultimi decenni l'estensione geografica delle specie si è ridotta in modo significativo, a fronte di un aumento delle piantagioni di olio di palma (nel Sud-est asiatico) e dei pascoli (in Sud America).
"I tropici sono “zone calde” della biodiversità, con moltissime specie che hanno una piccola estensione. Se un ettaro di foresta tropicale viene convertito ad uso agricolo, molte specie perderanno maggiori porzioni di habitat rispetto a quanto avviene in Europa", ha aggiunto Beyer. "Se questo andamento continuerà, accelererà o sarà fermato dipenderà dalle emissioni globali di carbonio e dalle scelte future che verranno fatte dalle nostre società”, ha concluso Andrea Manica, coordinatore dello studio.