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Origin, sviluppato un segugio che fiuta la vita nello spazio

Scienze

Un gruppo di ricercatori internazionali ha messo a punto uno spettrometro di massa in grado di rilevare e identificare la più piccola quantità di traccia di vita extraterrestre. La Nasa guarda con interesse al progetto

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Un gruppo internazionale di ricercatori dell’Università di Berna ha sviluppato Origin, uno spettrometro di massa in grado di rilevare e identificare anche la più piccola quantità di tracce di vita. Lo speciale segugio – il cui funzionamento è stato descritto nel dettaglio in un articolo pubblicato sulla rivista Scientific Reports – è già oggetto di interesse di diverse agenzie spaziali internazionali, in particolare la Nasa, che vorrebbero testarlo per future missioni alla ricerca della vita extraterrestre, che Origin “fiuta” identificando con facilità i diversi amminoacidi.

Origin può rispondere alla domanda: c’è vita nello spazio?

 

Origin supera di gran lunga i precedenti strumenti spaziali in termini di sensibilità alla misurazione, spiegano gli esperti dell’Inaf. “La Nasa ci ha invitato a partecipare e testare il nostro strumento nell’Artico, un ambiente di test ottimale nel contesto della missione Europa Lander, che dovrebbe partire nel 2025, che ci permetterà di dimostrare le prestazioni di Origin” afferma Andreas Riedo, che insieme a Niels Ligterink del Center for Space and Habitability è l’autore principale dello studio. “La nostra nuova tecnologia di misurazione è un reale miglioramento degli strumenti attualmente utilizzati nelle missioni spaziali. Se verremo coinvolti in una missione futura, con Origin potremmo essere in grado di rispondere a una delle domande più fondamentali dell’umanità: c’è vita nello spazio?” conclude lo scienziato.

 

L’identificazione degli amminoacidi

 

La particolarità del segugio, uno spettrometro di massa, è identificare direttamente gli amminoacidi. Queste molecole, se trovate su superfici extraterrestri consentirebbe di trarre conclusioni sulla possibile vita. “Degli impulsi laser vengono diretti sulla superficie da esaminare spiega Ligterink -. Nel processo vengono staccate piccole quantità di materiale, la cui composizione chimica viene analizzata da Origin in una seconda fase”. “L’aspetto interessante – conclude - della nostra tecnologia è che non sono necessarie complicate tecniche di preparazione del campione, che potrebbero potenzialmente influenzare il risultato. Questo è stato uno dei maggiori problemi su Marte finora”.