Si tratta, come spiegato nel corso della conferenza internazionale di fisica delle alte energie “Ichep 2020”, del fenomeno per cui il bosone si disintegra, generando due muoni, cioè due particelle elementari simili agli elettroni ma più pesanti
Il bosone di Higgs, teorizzato nel 1964 e rilevato per la prima volta nel 2012 grazie agli esperimenti dei rilevatori di particelle Atlas e Cms del Cern di Ginevra, ha dimostrato di potersi disintegrare generando due muoni, cioè due particelle elementari simili agli elettroni ma più pesanti. Si tratta di un particolare e raro fenomeno di decadimento, che riguarda nello specifico un bosone su cinquemila e che è stato descritto per la prima volta, proprio dagli esperimenti effettuati al Cern.
Gli studi sul bosone
I risultati, pubblicati online e discussi nel corso della conferenza internazionale di fisica delle alte energie “Ichep 2020”, hanno potuto così dimostrare come il bosone di Higgs riesca ad interagire con alcune specifiche particelle, denominate dagli scienziati di “seconda generazione”, in perfetta concordanza con quanto aveva previsto la teoria di riferimento della fisica contemporanea, cioè il Modello Standard. Questo studio rientra in un più ampio progetto di ricerca che, a partire dal 2012 quando era stata rivelata la scoperta del bosone di Higgs, gli stessi fisici del Cern hanno cominciato a portare avanti, per esaminare le sue proprietà attraverso le particelle in cui si trasforma. Fino ad oggi, gli esperimenti dei rilevatori Atlas e Cms avevano osservato il suo decadimento in diversi tipi di bosoni (tra cui quelli W e Z) e nei più pesanti quark. Ma i muoni, spiegano gli scienziati, sono più leggeri e la loro interazione con il bosone di Higgs non era mai stata individuata prima d’ora.
Un nuovo livello di precisione
Secondo Karl Jakobs, portavoce di Atlas, "la prova che il bosone di Higgs decada in particelle di seconda generazione, completa il successo della seconda fase di raccolta dati", ha spiegato. "Le misure delle proprietà del bosone di Higgs hanno raggiunto un nuovo livello di precisione tanto da poter osservare anche le forme di decadimento rare”, ha poi sottolineato l’esperto. Si tratta, in sostanza, di un ennesimo successo legato all’efficienza del rivelatore di particelle Atlas e all’utilizzo di nuove tecniche di analisi, per cui è risultato fondamentale l’uso "di strumenti di deep learning, ovvero quelle tecniche sviluppate nel campo dell'intelligenza artificiale e utilizzate dai colossi informatici nei nostri cellulari o nelle auto a guida autonoma". Questo il commento di Andrea Rizzi, ricercatore dell'Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e coordinatore del gruppo di esperti che lavorano per Cms.