Un nuovo studio, condotto da un team di ricercatori della società di genetica 23andMe, che analizzando il Dna di oltre 50mila persone, è riuscito a portare alla luce nuovi dettagli sull’"impatto genetico" che il commercio di uomini ha avuto sulle popolazioni odierne delle Americhe
Gli effetti della deportazione forzata di oltre 12 milioni di persone africane durante la tratta degli schiavi transatlantici, tra il 1515 e la metà del XIX secolo, sono rimasti radicati nel Dna delle persone del Nord, Centro e Sud America e dei Caraibi. A suggerirlo sono i risultati di un nuovo studio, condotto da un team di ricercatori della società di genetica 23andMe, che analizzando il Dna di oltre 50mila persone, è riuscito a portare alla luce nuovi dettagli sull’"impatto genetico" che il commercio di uomini ha avuto sulle popolazioni odierne delle Americhe. Nello specifico, correlando i dati genetici con le registrazioni storiche della tratta degli schiavi, sarebbero emersi risultati che rafforzano alcune dure verità sulla schiavitù nelle Americhe. Queste intuizioni, descritte nel dettaglio sulle pagine della rivista specializzata American Journal of Human Genetics, includono le regioni dell'Africa da cui furono prese le persone schiavizzate e i metodi usati per reprimere e sfruttare gli africani una volta sbarcati nelle Americhe.
Lo studio nel dettaglio
"Circa due milioni di uomini, donne e bambini ridotti in schiavitù morirono nel viaggio verso le Americhe”, spiega Steven Micheletti, genetista di 23andMe. “Il nostro obiettivo era quello di confrontare le informazioni genetiche con i manifesti delle navi mercantili degli schiavisti e verificare i punti di contatto". Dalla ricerca è emerso che la maggior parte degli americani di origine africana ha radici in terre ora situate in Angola e nella Repubblica Democratica del Congo.
"Si tratta di un dato sorprendente vista la sovra-rappresentazione degli antenati nigeriani negli Stati Uniti e in America Latina rispetto al numero registrato di schiavi di quella regione. Questo potrebbe essere dovuto al commercio intercoloniale avvenuto tra il 1619 e il 1807".
Stando alle ipotesi dei ricercatori, i nigeriani ridotti in schiavitù potrebbero essere stati trasportati dai Caraibi in altre aree per affermare il commercio degli schiavi in un momento in cui iniziavano a emergere divieti a riguardo. "Abbiamo scoperto anche pochissimi segni di individui provenienti da Senegal e Gambia probabilmente a causa dei numerosi decessi per malaria che si sono verificati nelle piantagioni di riso in cui questi individui venivano costretti e per il gran numero di bambini che non riuscirono a superare la traversata”, aggiunge Micheletti.
I risultati della ricerca
Lo studio ha messo in luce anche la “pratica di costringere le donne schiavizzate ad avere figli come mezzo per mantenere il controllo sulla forza lavoro in vista della sospensione del commercio".
Negli Stati Uniti, secondo i ricercatori, alle giovani donne sarebbe stata spesso promessa la libertà in cambio di favori sessuali. Gli autori dello studio si augurano che i risultati del loro studio possano aiutare le persone di origine africana a trovare le proprie radici e a comprendere come le esperienze dei loro antenati abbiano modellato la struttura genetica delle loro comunità.
“Speriamo che i lettori comprendano non solo l'impatto del commercio di schiavi ma anche i profondi contributi resi dagli schiavi africani alla storia, all'economia e alla cultura delle Americhe", conclude Micheletti.