Il gruppo di ricercatori del Jet Propulsion Laboratory (Jpl) del California Institute of Technology coordinato da Morgan Leigh Cable ha presentato i risultati dei propri esperimenti durante il congresso di Astrobiologia in corso a Seattle
La superficie ai bordi dei laghi di idrocarburi di Titano, il più grande satellite naturale di Saturno, potrebbe essere ricoperta da ‘minerali molecolari’, ossia strutture che, pur comportandosi come minerali, sono composte da molecole organiche. Lo ha spiegato il gruppo di ricercatori del Jet Propulsion Laboratory (Jpl) del California Institute of Technology, coordinato da Morgan Leigh Cable, durante il congresso di Astrobiologia (Astrobiology Science Conference) in corso negli Stati Uniti (a Seattle). Gli esperti hanno ricostruito in laboratorio le condizioni presenti sulla luna e sono riusciti a ottenere dei cristalli di acetilene e butano: questi due composti organici si formano nell’atmosfera di Titano, per poi precipitare sulla superficie della luna sotto forma di pioggia di idrocarburi.
La formazione dei cristalli di acetilene e butano
I risultati degli esperimenti condotti nel Jet Propulsion Laboratory indicano che questi cristalli formano delle strutture ad anello attorno ai laghi di metano della luna di Saturno. In passato, il gruppo di Morgan Leigh Cable aveva osservato la formazione di altri due tipi di minerali, composti da benzene con etano, e da acetilene e ammoniaca. “Avevamo già dimostrato che alcune molecole organiche, in condizioni di laboratorio analoghe a quelle di Titano, formano questi tipi di cristalli”, spiegano i ricercatori. “Tuttavia, quelli composti da acetilene e butano potrebbero essere i più comuni sulla luna di Saturno”, proseguono gli esperti del Jet Propulsion Laboratory. “Le rigide temperature del satellite naturale, che toccano stabilmente i -180 gradi centigradi, favoriscono la loro formazione. Non sappiamo se questo paesaggio sia ciò che vedremmo effettivamente se fossimo su Titano, però abbiano numero indizi promettenti, tra cui le immagini scattate dalla sonda Cassini”, conclude il team di ricerca. Sono stati proprio gli ultimi dati inviati dalla sonda a consentire alla comunità scientifica di descrivere l’idrologia del corpo celeste, in un esaustivo studio pubblicato sulle pagine della rivista specializzata Nature Astronomy.