La Teoria di Einstein che ci ha fatto immaginare i buchi neri

Scienze

Gabriele De Palma

Albert Einstein - Getty Images

Oggi li possiamo vedere, fino a due anni fa non eravamo stati in grado di percepirli, la Teoria della relatività di Einstein è stato il momento in cui abbiamo iniziato a immaginare i buchi neri 

Cento anni fa, guardando una foto simile a quella che sta facendo oggi il giro del mondo, Albert Einstein capì che aveva ragione sul punto fondamentale espresso nella sua teoria della relatività gravitazionale: la gravità è la manifestazione della curvatura dello spazio-tempo. La foto che confermò la sua idea era quella di un'eclissi di Sole, in cui si vedevano le stelle sullo sfondo in una posizione diversa dal previsto: la loro luce era stata piegata dal campo gravitazionale del Sole.
Un secolo dopo, anche gli astrofisici che per la prima volta hanno ammirato l'immagine (costruita a partire da emissioni radio) di un buco nero hanno pensato, e detto, la stessa cosa: aveva ragione Einstein.

Einstein e i buchi neri

In realtà il grande fisico tedesco non aveva una passione particolare per i buchi neri. I buchi neri non si chiamavano nemmeno così durante la sua vita, il nome è stato affibbiato loro alla fine degli anni '60 da John Wheeler. La preoccupazione principale di Einstein era trovare una teoria che spiegasse l'universo meglio di quella della gravitazione universale newtoniana. I buchi neri erano, nel quadro generale, solo un dettaglio, un concetto limite. Ad appassionarsi alla faccenda fu un altro fisico tedesco, Karl Schwarzschild, che all'indomani della lettura della Teoria della relatività generale (pubblicata nel 1915) elaborò l'ipotesi di un corpo talmente denso da riuscire a modificare la luce emanata (così come aveva fatto il sole con quella delle stelle durante l'eclissi) facendola tendere invariabilmente al rosso. L'ipotesi attrasse l'interesse di molti fisici e Einstein si trovò coinvolto in una discussione nata da una costola della sua Teoria.

L'orizzonte degli eventi

L'intervento di Einstein fu risolutore. Un corpo celeste molto denso potrebbe generare un campo gravitazionale tale da essere più forte della luce, un campo gravitazionale cioè che genera un'attrazione a cui potrebbe sfuggire solo qualcosa di più veloce della luce. In base alla teoria della relatività però non esiste nulla di più veloce della luce, quindi un corpo celeste molto denso potrebbe generare un campo gravitazionale tanto forte da non permettere né alla luce né a nient'altro di uscirne. Tutto quello che finisce nel cosiddetto “orizzonte degli eventi”, questo il nome dato ai confini del buco nero, non torna più indietro.

Potere della teoria

Un corpo celeste privo di luce, supermassiccio, in grado di modificare sostanzialmente l'universo circostante. Questo il buco nero previsto da Einstein e dai suoi colleghi che si interessarono insieme a lui all'argomento come Schwarzschild, l'indiano Subrahmanyan Chandrasekhar e lo statunitense Robert Oppenheimer. Si calcolò, in quegli anni, il rapporto tra massa e dimensioni del corpo celeste (per avere un'idea comprensibile dovrebbe avere la massa della Luna condensata in una sfera con un raggio di un decimo di millimetro). Vennero anche ipotizzate le tipologie di buco nero, che può essere rotante o meno, elettricamente carico o scarico; e ci si spinse a calcolare i fenomeni che potevano portare all'esistenza di una simile realtà, teorizzando che superata una certa densità, una stella avrebbe potuto, anzi dovuto, trasformarsi in una stella di neutroni e addensandosi ulteriormente in un buco nero. Molte delle altre cose che ci sono state raccontate sui buchi neri sono invece frutto degli approfondimenti, a partire dalla concezione di Einstein, fatti dagli studiosi che se ne sono occupati negli ultimi cinquant'anni, su tutti Stephen Hawking (Hawking e la teoria dei buchi neri). Tutte teorie, però. All'epoca di Einstein non c'era nessuna prova, nessun segno evidente che i buchi neri fossero non solo possibili ma anche reali.

Confronto delle prove

Dalla pubblicazione della Teoria della relatività è iniziata la corsa alle prove, esperimenti che rilevassero dati in grado di confermare quanto ipotizzato su carta. La spettacolare immagine del buco nero al centro della Galassia M87 è solo l'ultima e più facilmente comprensibile verifica delle idee di Einstein; la prima fu la foto dell'eclissi del 1919. Quanto ai buchi neri c'è un importante precedete: pochi anni fa il Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory ha registrato un'onda gravitazionale spiegabile solo come il risultato di una collisione di buchi neri.
Certo, vederlo fa tutta un'altra impressione.

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