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Scoperte orme di bambino di 700mila anni fa in Etiopia

Scienze
Le impronte del sito archeologico si sarebbero conservate grazie alla colata di un tufo vulcanico di 700 mila anni fa (foto: archivio Getty Images)

Il ritrovamento, ad opera di un gruppo di ricerca dell'Università La Sapienza di Roma, ha pochissimi precedenti visto che i siti con impronte umane più antichi di 300 mila anni sarebbero molto rari

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Un gruppo di ricerca dell'Università La Sapienza di Roma ha scoperto in un sito archeologico in Etiopia le orme di un bambino che risalirebbero a circa 700 mila anni fa. Il ritrovamento, descritto sugli Scientific Reports di Nature, ha pochissimi precedenti: i siti con impronte umane più antichi di 300 mila anni, infatti, secondo gli esperti, si conterebbero nel mondo sulle dita di una sola mano.

Il sito archeologico in Etiopia

Il sito archeologico etiope di "Gombore II-2" fa parte di Melka Kunture, una località dell'alto bacino del fiume Awash, a duemila metri sopra il livello del mare. In questo luogo si svolgono ormai da anni e campagne di ricerca di uno dei Grandi scavi di ateneo, finanziato dalla Sapienza e dal Ministero Affari Esteri. I ricercatori sono stati in grado di datare con buona precisione le impronte grazie alla colata di un tufo vulcanico di 700 mila anni fa. La zona scavata corrisponderebbe ad un'area intensamente frequentata, ai margini di una piccola pozza d'acqua in cui probabilmente si abbeveravano, oltre agli ominidi, anche animali prossimi agli attuali gnu e gazzelle, nonché uccellini, equidi e suidi. Nel sito sarebbero state ritrovate anche impronte di ippopotami che hanno lasciato tracce dei loro passaggi.

Le orme di un bambino

I ricercatori hanno rinvenuto impronte di varie specie che si intersecano tra loro e, a tratti, si sovrappongono a quelle degli esseri umani. Tra questi, ci sarebbero stati individui in parte adulti e in parte di età compresa tra uno e tre anni. In particolare, uno di questi bambini in tenera età propriamente non camminava, ma era in piedi e si dondolava. La sua impronta è quella di un piede che calpesta il suolo ripetutamente, rimanendo appoggiato sui talloni. A farlo supporre sarebbe stata una serie di piccole dita, più di cinque, in parte sovrapposte dalla ripetizione del movimento.

Una "foto di vita preistorica"

Dall'analisi delle impronte e delle tracce trovate nel sito archeologico, è stato possibile ricostruire una serie completa di attività: dalla scheggiatura della pietra con la produzione di strumenti litici, alla macellazione della carne di più ippopotami. Da ciò si potrebbe concludere che il gruppo umano fosse in pieno controllo dell'ambiente. Secondo i ricercatori, l'importanza di Gombore II-2 non sarebbe data solo dalla rarità di siti con impronte umane, ma anche dal fatto che, per la prima volta, sarebbero documentate attività umane nel loro insieme. "Inoltre, per la prima volta - spiega Margherita Mussi, coordinatrice dello scavo - ci sono impronte di bambini molto piccoli, che indicano la loro presenza costante anche quando gli adulti scheggiavano e macellavano". Per Flavio Altamura, prima firma dell'articolo pubblicato su "Scientific Reports", la scoperta "è stata un'emozione molto intensa". Si tratterebbe, infatti, di "una foto di vita preistorica, i primi passi di un bambino, mentre il resto del gruppo ed altri piccoli si dedicavano alle attività quotidiane".