Indizi sulla presenza dell'uomo in America già 130mila anni fa

Scienze
Un paleontologo al lavoro in un sito archeologico (Getty Images)
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In California scoperto uno scheletro di mammut che sembra essere stato lavorato con utensili di pietra, più di 100mila anni prima della data generalmente riconosciuta per l'arrivo degli esseri umani sul continente americano. Lo studio pubblicato su "Nature"

Ben prima di Cristoforo Colombo, dei Vichinghi e delle scoperte goegrafiche, finora la comunità scientifica era concorde nel ritenere che la migrazione delle popolazione indigene verso il continente americano fosse avvenuta, dall'Asia, in un periodo compreso fra 11mila e 16 mila anni fa. Ma una nuova scoperta, pubblicata sulla rivista "Nature", potrebbe spostare indietro di più di 100mila anni la datazione, riaprendo il dibattito tra archeologi, paleontologi e antropologhi.

 

L'intuizione dall'analisi delle ossa di un mammut

Secondo lo studio, ci sarebbero indizi di presenza umana in California risalenti a 130mila anni or sono, ossia a un periodo in cui l'Homo sapiens si supponeva non fosse ancora uscito dall'Africa. L'ipotesi prende il via dalle analisi dello scheletro di un mastodonte (il mammut nordamericano) svolte da un team guidato dal paleontologo Tom Deméré, del Museo di storia naturale di San Diego. Lo scheletro fu rinvenuto all'inizio degli anni Novanta in un sito scoperto nel 1992 vicino alla Route 54 californiana quando, proprio durante la costruzione della strada, uno scavatore rinvenne dei frammenti di ossa.

 

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Sulle ossa segni di utensili in pietra

Sullo scheletro del mammut, ribattezzato mastodonte Cerutti, sono stati ritrovati dei segni non riconducibili a ferite inferte da animali, ma più simili a quelle generate da utensili in pietra. Le prime datazioni affidabili dei frammenti delle ossa dell'animale risalgono al 2012, grazie allo studio della disintegrazione dell'uranio nello scheletro, e la data emersa ha stupito gli stessi studiosi. Gli anni successivi sono stati spesi a raccogliere le competenze per confermare l'ipotesi di un'antichissima occupazione dell'America del Nord da parte degli ominidi e le prove – a detta degli autori dello studio – sarebbero "inconfutabili".

 

Nessuno scheletro umano rinvenuto

"Naturalmente, affermazioni straordinarie come questa richiedono prove straordinarie – sostiene Tom Deméré, intervistato da "National geographic" – ma possiamo dire che il mastodonte Cerutti presenti queste prove". Nel sito non sono però state rinvenute ossa umane: i ricercatori, tuttavia, ipotizzano che potrebbe trattarsi di una cava in cui lo sconosciuto ominide si recava a lavorare le ossa del mammut per ricavarne il midollo o per usare i frammenti come materia prima per armi e altri utensili.

 

Un ominide arrivato dallo Stretto di Bering

Si potrebbe trattare di un uomo di Neanderthal o di Denisova, o ancora di un Homo sapiens arcaico, che potrebbe aver lasciato una discendenza tra le popolazioni indigene americane. Potrebbe essere arrivato a piedi, dato che 130mila anni fa nello Stretto di Bering, tra Alaska e Siberia, il livello del mare era più basso di quello attuale e avrebbe permesso l'eventuale passaggio. Una condizione presente anche durante l'ultima glaciazione, epoca nella quale si riteneva si fosse concretizzato il passaggio degli odierni Nativi americani dalla Siberia al Nord America. Il dibattito, però, è ancora aperto.

 

Comunità scientifica spaccata

La scoperta ha destato non poche perplessità tra gli studiosi. Non la nasconde, in un video diffuso da "Nature", John McNabb, dell’Università di Southampton: “Non colma una lacuna – spiega – ma apre un nuovo capitolo". Eric Boëda, studioso della preistoria all'Università di Parigi Nanterre, a "Le monde" si è detto meno sorpreso e ritiene che la scoperta possa semmai riaprire il dibattito sulla datazione dell'uscita dell'uomo dall'Africa, a suo dire troppo "semplicistica".

 

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