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Parkinson, i danni cerebrali dietro i comportamenti dei malati

Scienze
Risonanza magnetica al cervello (Getty Images)

Uno studio realizzato in collaborazione tra l'Irccs ospedale San Raffaele di Milano e l'Università di Belgrado mette in luce come certi atteggiamenti di chi è affetto da questo male non sono causati dai farmaci

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I malati di Parkinson spesso sviluppano una serie di comportamenti impulsivi-compulsivi come l'ipersessualità, la propensione al gioco d'azzardo ai limiti della ludopatia, il bisogno irresistibile di mangiare o fare shopping. Ma a causarli non sarebbero i farmaci dopaminergici come si è precedentemente ipotizzato, bensì il danno cerebrale provocato dalla patologia. Ad avvalorare questa ipotesi uno studio pubblicato su "Molecular Psychiatry", condotto dai ricercatori dell'Unità di Neuroimaging Quantitativo dell'Irccs ospedale San Raffaele di Milano e dai colleghi dell'università di Belgrado. Il lavoro, finanziato dal ministero serbo dell'Educazione e della Scienza, apre alla possibilità di prevedere attraverso la risonanza magnetica il rischio che una persona affetta dal Parkinson possa andare incontro nel tempo a queste complicanze.

Le principali caratteristiche del Parkinson - La malattia, caratterizzata da disturbi motori come tremore a riposo, rallentamento dei movimenti e rigidità degli arti - ricordano dall'Istituto di via Olgettina, fra le strutture del gruppo ospedaliero San Donato - è la seconda patologia neurodegenerativa più frequente dopo l'Alzheimer. I pazienti soffrono spesso anche di disabilità cognitive, disturbi dell'umore come ansia e depressione, e problemi psicopatologici. Tra questi ultimi i più frequenti sono proprio i comportamenti impulsivi-compulsivi, contraddistinti dall'incapacità di controllare desideri e istinti, che si traduce spesso nella ripetizione di azioni dannose per sé o per gli altri. Condotte che interferiscono con la vita quotidiana e la peggiorano.

La ricerca italo-serba - Per anni i comportamenti compulsivi dei malati sono stati considerati come un possibile 'effetto collaterale' dell'assunzione di medicinali anti-Parkinson che mimano l'attività della dopamina (il cosiddetto 'ormone del piacere' che viene a mancare nei pazienti), è più recente la tesi che alcuni di questi comportamenti siano in realtà dovuti ad alterazioni funzionali e strutturali del cervello, conseguenti al Parkinson in sé. Una via che lo studio italo-serbo indica come la più giusta da seguire. Per testare l'ipotesi, gli scienziati hanno preso in esame 85 persone con Parkinson, 35 con comportamenti impulsivi-compulsivi e 50 senza. Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a risonanza magnetica per capire se vi fossero alterazioni funzionali e strutturali delle aree cerebrali, e per identificare i circuiti alterati nei malati con condotte impulsive-compulsive. È emerso che - a fronte di anomalie simili tra i due gruppi studiati, localizzate nell'area principale colpita dalla malattia, ossia quella motoria - i pazienti con comportamenti impulsivi-compulsivi presentano un danno nelle aree cerebrali coinvolte nella regolazione dei processi di gratificazione.

La risonanza magnetica, strumento determinante - "Non solo - precisano Francesca Imperiale e Federica Agosta del San Raffaele, che hanno contribuito allo studio - ma con l'aumentare della durata e della gravità dei disturbi, sia motori che comportamentali, la comunicazione tra i due network cerebrali di riferimento peggiora, ovvero si aggrava il modo in cui queste due aree del cervello comunicano tra loro". Massimo Filippi, direttore dell'Unità di neuroimaging quantitativo e ordinario di Neurologia all'università Vita-Salute San Raffaele, ha commentato: "Lo studio mette in luce la stretta connessione tra sintomatologia motoria, cognitiva e psichiatrica. E sottolinea una volta di più come sia importante considerare questi aspetti in fase di diagnosi e nella valutazione della prognosi di questi pazienti". I risultati della ricerca suggeriscono inoltre che "la risonanza magnetica potrebbe essere uno strumento ideale per identificare in modo precoce i pazienti a rischio di sviluppare questi disturbi comportamentali, affinché possano beneficiare di una terapia farmacologica su misura".