C’è un legame tra dipendenza da social e ADHD nei bambini

Negli ultimi anni uno dei temi più discussi delle faglie di divisione del conflitto intergenerazionale riguarda i social media: diffusissimi tra i giovani, per i meno giovani il loro uso massiccio – si sente dire con frequenza – sarebbe in qualche modo responsabile di una spiccata propensione degli adolescenti e i preadolescenti alla distrazione. Uno studio longitudinale pubblicato all’inizio di dicembre su Pediatrics Open Science – e frutto di un progetto di ricerca congiunto tra ricercatori con base negli Stati Uniti e in Europa – ha indagato in modo più scientificamente solido questo aspetto, scoprendo che in effetti all’uso massivo dello smartphone in tenera età è correlato un aumento dei casi di ADHD, il disturbo da deficit di attenzione e iperattività. La ricerca ha seguito oltre 8.300 bambini dagli 8 ai 14 anni, raccogliendo dati annuali sul loro uso dei media digitali e sui sintomi correlati all’ADHD, registrati con l’ausilio di questionari standard compilati dai genitori. I risultati hanno mostrato che un uso maggiore e prolungato dei social media, rispetto agli altri media digitali, è associato a incrementi graduali di disattenzione; in particolare, nel gruppo di ragazzini esposti in modo più intenso alle dinamiche socialmediali sono risultate pesare particolarmente conseguenze come una concentrazione difficoltosa o un’incapacità di concentrarsi per affrontare compiti prolungati. C’è però una nota positiva : l’uso di videogiochi o la visione prolungata di video su YouTube, per converso non hanno mostrato un rapporto simile, circoscrivendo il problema ai social media. Va comunque sottolineato che l’aumento medio dei sintomi di disattenzione associato ai social non è così evidente da spiegare, da solo, una diagnosi clinica di ADHD. E tuttavia, su larga scala, variazioni comportamentali di media entità distribuite nella popolazione possono tradursi in un numero di casi più elevato di soggetti che vengono diagnosticati. Questa distinzione, che a prima vista potrebbe apparire sottile, è importante per evitare di saltare a conclusioni semplicistiche: gli autori stessi osservano che, fatti salvi i fattori genetici e socioeconomici delle famiglie oggetto dello studio, la relazione tra deficit di attenzione ed esposizione algoritmica resta statisticamente significativa, ma va ulteriormente indagata sul piano della causalità. Lo studio è interessante anche perché affronta una questione metodologica che ha spesso reso complessa la ricerca su ADHD e media digitali: la direzione della correlazione. I bambini con difficoltà attentive sono più frequentemente portati a usare intensivamente i social media. Nell’analisi, i ricercatori non hanno trovato prove che livelli più alti di disattenzione all’inizio del periodo abbiano portato a un incremento dell’uso dei social nel tempo; al contrario, l’aumento di ore trascorse sulle piattaforme è risultato precedere la comparsa di sintomi di deficit di attenzione. Non è abbastanza per provare un nesso di causalità, come si diceva, ma rafforza l’ipotesi che un certo ambiente digitale possa avere un ruolo da innesco o amplificatore rispetto ai processi di sviluppo dell’attenzione. Piattaforme digitali come TikTok, Instagram o Snapchat sono progettate per massimizzare l’engagement con contenuti brevi, rapidi e disseminati di notifiche: un tipo di stimolazione che può favorire l’abitudine a saltare senza sosta da uno stimolo all’altro, limitando la capacità di focalizzarsi su input che richiedono concentrazione prolungata. Studi precedenti avevano già evidenziato che un uso intensivo di social media è associato a declini nelle abilità di concentrazione e performance nelle attività più strutturate a livello neuronale, come la lettura o i test di memoria, suggerendo che le ricadute potessero estendersi oltre la sfera comportamentale più immediata. Altre fonti scientifiche invece vedono la questione molto diversamente, sostenendo che non esistono prove robuste che il solo uso dei dispositivi digitali costituisca una causa diretta dello sviluppo di ADHD, e adducendo che fattori come ansia, depressione o difficoltà socio-emotive possano risultare altrettanto importanti nei fenotipi osservati. In assenza di ulteriori ricerche sul tema, molte correlazioni riscontrate potrebbero essere potenzialmente influenzate da elementi come lo stile di vita generale, il sonno, l’attività fisica o la predisposizione genetica. A restare inevase sono le domande che ciascun genitore dei nostri tempi si pone quotidianamente: quanto tempo è giusto che un ragazzino di 10 o 12 anni passi sulle piattaforme social? Quali aspetti dell’uso digitale possono risultare più problematici e quali invece, laddove regolati, hanno la possibilità di aiutare lo sviluppo del bambino? Le risposte non sono affatto immediate e richiedono non solo un equilibrio tra protezione e autonomia, ma anche qualche anticorpo in più a livello culturale. Lo studio statunitense rappresenta un contributo significativo a un campo di ricerca in forte espansione, che tocca temi sensibili non solo per la salute mentale infantile ma anche per le politiche pubbliche in materia di tecnologia e tutela dei minori. Di risposte definitive, è bene ricordarlo, non ce ne sono: ma una nuova lettura cauta ma informata ci impone di ascoltare meglio i bisogni e le stanchezze di una generazione immersa sin dall’infanzia nel mondo digitale.

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C’è un legame tra dipendenza da social e ADHD nei bambini

Davide Piacenza