Alle persone con disabilità si chiede sempre di avere “pazienza”

A tre milioni di cittadine e cittadini italiani con disabilità e alle loro famiglie è stato tolto il diritto di decidere come vivere la propria quotidianità in modo autonomo e indipendente. O meglio, è stato detto: il tuo sogno di gestire la tua vita come preferisci, come gli altri italiani senza disabilità, è rimandato al 2027. È quello che è accaduto con il rinvio della piena attuazione del decreto legislativo 62/2024 compreso nella riforma sulla disabilità avviata nel 2021, che introduceva il progetto di vita individuale personalizzato e partecipato, suscitando, giustamente, diverse critiche da parte delle associazioni e delle persone con disabilità. La riforma si basava sui principi sanciti dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall'Italia nel 2009, che dovrebbe proteggere e garantire il loro pieno ed equo godimento di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali. Un cittadino o cittadina che gode di pieni diritti infatti può sognare di frequentare una certa università, fare domanda per un lavoro distante da casa, abitare senza la propria famiglia d’origine, per esempio, ma questi diritti, questa vita indipendente con pari libertà di scelta rispetto al resto della popolazione rimane, per molti, un sogno irrealizzabile. Oggi i servizi per le persone con disabilità sono standardizzati, uguali per tutti, almeno nello stesso territorio, e non prendono in considerazione bisogni e desideri individuali. Una persona con un bisogno di assistenza maggiore di un’altra, per motivi legati alla sua disabilità, non può scegliere in maniera autonoma come gestire il sostegno finanziario previsto per lei. Il rinvio del decreto attuativo, che è del 2024, è avvenuto senza veri annunci, ma è rimasto piuttosto sottotraccia dentro il decreto milleproroghe, lasciando tutti molto sorpresi di questo passaggio: alcuni gruppi tra cui UNASAM - Unione Nazionale delle Associazioni per la Salute Mentale, PERSONE - Coordinamento nazionale contro la discriminazione delle persone con disabilità e il Movimento antiabilista si sono quindi riunite in una Rete di protesta per chiedere la revisione di questa scelta, dal momento che il rinvio di due anni non garantisce che nel 2027 si possa partire come previsto. Dalla Rete ci spiegano che "una novità importante è rappresentata dalla piena ed unica titolarità della persona disabile del proprio progetto di vita, un principio finora assente nel quadro normativo italiano". Si può dedurre che allungare di due anni le sperimentazioni è quindi una scelta che va nella direzione opposta? Per Lisa Noja, consigliera regionale di Italia Viva in Lombardia, tra le esponenti politiche più impegnate sul fronte della riforma sin dalla sua approvazione nel 2021, il fatto che il governo si sia preso "un sacco di tempo per fare i decreti attuativi", considerando che la legge delega risale a quattro anni fa, è significativo: "La decisione di introdurre una sperimentazione, non prevista dalla legge delega, e poi di estenderla, è un segnale di mancanza di volontà politica nell'attuare la riforma in tempi brevi. Stai dicendo che le persone con disabilità e le loro famiglie, ancora una volta, devono avere pazienza per vedere riconosciuti i loro diritti". La sperimentazione è prevista in sole nove province, solo su tre condizioni: autismo, sclerosi multipla e diabete di tipo 2, senza alcuna spiegazione. “Ma le leggi non si sperimentano, si attuano. Perché le sperimentazioni si fanno solo sulla pelle delle persone disabili e dei loro familiari?”, si chiedono dalla Rete di protesta. Le conseguenze di questo slittamento ricadono poi sia sulle persone con disabilità che sui loro caregiver. Il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità aveva già segnalato come le attuali politiche finiscano per gravare in particolare sulle donne, spesso costrette a rimanere in famiglia per fornire assistenza, con un impatto negativo sulla loro partecipazione al mercato del lavoro. "Io penso anche ai giovani, immaginiamo una persona con disabilità di 20-25 anni che voglia una vita autonoma, anche dal punto di vista affettivo, di vita sociale, le opportunità restano limitate", continua Noja. "Attualmente, l'indennità di accompagnamento ammonta a poco più di 500 euro al mese, una cifra insufficiente a garantire il supporto di un assistente personale che costa almeno 1300-1400€ al mese. In assenza di soluzioni alternative, la maggior parte delle persone con disabilità grave rimane in famiglia, mentre nei casi più complessi viene istituzionalizzata, una pratica criticata in quanto limitativa della libertà individuale". La riforma avrebbe introdotto elementi innovativi, tra cui la possibilità per la persona con disabilità di autogestire i sostegni di cui necessita per vivere una vita libera e autodeterminata, anche quando questi non corrispondono al sistema di offerta attuale, chiedendo un cambiamento del sistema anche attraverso una rimodulazione delle risorse destinate ai servizi residenziali-semiresidenziali. Attualmente, invece, sono le istituzioni a decidere come impiegare questi fondi. Il decreto avrebbe inoltre favorito la deistituzionalizzazione e tenuto conto delle differenze di genere nei progetti di vita, includendo aspetti legati alla genitorialità, al diritto all'abitare autonomo e alla vita relazionale. Come ricorda Noja, anche per quanto riguarda il tema del “dopo di noi” avrebbe garantito ai genitori di poter progettare un futuro insieme ai propri figli con disabilità con la certezza di poter avere una vita dignitosa, anche perché scelta e voluta in modo autonomo, e non per forza legata ai servizi territoriali disponibili. Le motivazioni ufficiali del rinvio, secondo le dichiarazioni della ministra, riguardano la presunta mancanza di strutture organizzative adeguate per avviare la valutazione multidimensionale. Ma gli attivisti ritengono che dietro questa decisione vi siano anche fattori economici, legati agli interessi consolidati nel sistema dell'istituzionalizzazione. Per Noja il problema è legato al mancato stanziamento di risorse adeguate per sostenere la riforma, per garantire l'avvio dei progetti, ma anche il sostegno alle strutture del terzo settore a cui per anni lo stato aveva affidato la gestione dei servizi per le persone con disabilità. La Ministra per le Disabilità, Alessandra Locatelli, ha giustificato il rinvio affermando che è necessario un periodo di sperimentazione per garantire un'attuazione efficace del decreto. Attualmente, al di fuori delle poche province in cui la sperimentazione è partita, l'accesso ai servizi continua a variare notevolmente a seconda del territorio. Il decreto 62/2024 mirava proprio a uniformare l'accesso al progetto di vita indipendente su tutto il territorio nazionale, consentendo alle persone con disabilità di richiederlo direttamente al proprio comune, senza vincoli geografici. “Oggi alle proteste delle associazioni e delle persone con disabilità non c’è stata nessuna reazione”, conclude Noja, “ma a questo punto il governo deve dire al Paese se è una priorità o meno se che un giovane con disabilità abbia il diritto a scegliere come vivere la propria vita. Deve dire se i soldi li vuole trovare oppure no. Altrimenti restiamo sul piano della propaganda”.

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