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Affrontare l’endometriosi con lo yoga: i primi risultati dello studio a Modena

Salute e Benessere
Ludovica Passeri

Ludovica Passeri

Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena

Studiare, riconoscere, capire il dolore cronico per offrire delle strategie innovative a chi ci convive. Abbiamo parlato con il dottor Alboni, l’ideatore di EndoGym, il progetto lanciato dal Policlinico di Modena per migliorare la qualità della vita delle pazienti

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A Modena c’è una palestra speciale, dove si combatte con lo yoga e la fisioterapia il dolore cronico delle donne affette da endometriosi. I benefici che possono apportare alcune discipline sulla qualità della vita delle pazienti con questa malattia, che si caratterizza per la crescita fuori dall’utero di un tessuto simile al suo rivestimento interno, sono noti, ma non è scontato che a ospitare questo progetto sia un ospedale pubblico. Un unicum in Italia. A quasi un anno dal lancio di EndoGym, questo il nome del programma, abbiamo parlato con il dottor Carlo Alboni, responsabile della Struttura Semplice di Chirurgia Ginecologica mininvasiva e robotica dell’Ospedale civile di Baggiovara, che lo ha ideato in sinergia con la dottoressa Giovanna Fabbri, che dirige la Struttura Complessa di Medicina Riabilitativa. Un’alleanza multidisciplinare sbocciata in una regione, l’Emilia-Romagna, che si distingue in Italia per aver messo in campo percorsi innovativi per la diagnosi e il trattamento di questa patologia infiammatoria e recidivante. 

Al momento hanno partecipato 45 pazienti e al termine del primo anno di vita di EndoGym avrete coinvolto un totale di 60 donne. A chi si rivolge questo programma che porta il marchio dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena?  

EndoGym si rivolge a pazienti affette da endometriosi con dolore miofasciale cronico, che coinvolge i tessuti dei muscoli e delle fasce muscolari, e dispareunia, quindi dolore durante il rapporto sessuale. ll 66% delle donne selezionate per il programma ha subìto (almeno) un intervento per endometriosi e il 76% delle pazienti sta assumendo la terapia ormonale. La chirurgia e i farmaci sono fondamentali per gestire e controllare lo sviluppo di cisti, lesioni e aderenze, con cui può manifestarsi l’endometriosi, ma spesso non bastano.

 

Come sono state selezionate le pazienti?

Le pazienti devono rispondere a dei criteri di inclusione abbastanza stretti. Vengono individuate nell'ambulatorio del Centro specializzato del Policlinico di Modena che io dirigo. La premessa è che abbiano ricevuto la diagnosi di endometriosi e di dolore miofasciale associato al dolore durante i rapporti, ma devono essere pazienti con un livello di dolore intenso, superiore a 7 sulla scala di valutazione che utilizziamo, e che non abbiano controindicazioni di altra natura a svolgere le lezioni di yoga. Il progetto è strutturato in gruppi da 15 donne che, per una durata di 3 mesi, svolgono gratuitamente il corso con insegnanti accreditati, a cui si affiancano delle sedute di fisioterapia, tenute da una professionista specializzata in riabilitazione pelvica a scopo antalgico. 

 

Perché lo yoga?

Non parliamo di yoga prestazionale e di riprodurre figure complicate - perché molte pazienti sono impossibilitate a causa del dolore paralizzante - ma di uno yoga terapeutico molto meditativo che agisce su tutto il corpo e non solo sul pavimento pelvico. Per un rilassamento profondo vengono insegnate le tecniche di respirazione e la ginnastica in allungamento. Lo yoga è una delle discipline di gestione del corpo più antiche del mondo: ha un'evidenza scientifica fortissima in tanti ambiti -  con delle possibili applicazioni a 360 gradi - ma in quello del dolore si rivela prezioso. C'è una letteratura medica sterminata su questo tema, soprattutto nei Paesi del nord Europa ed extraeuropei. Studi che fino a poco tempo fa dalle nostre parti non venivano considerati, mentre ad oggi queste ricerche stanno diventando il pane quotidiano di tutti. Sono stato nominato da poche settimane docente del primo master dell'Università di Bologna su “Yoga e medicina”. Porteremo questa esperienza anche nell'ambito ginecologico più generale: questi giovani medici si formeranno per capire come utilizzarlo al meglio.

Come è nato tutto e quali sono state le difficoltà?

EndoGym è partito in aprile del 2024 e ha avuto un periodo di incubazione durato diversi mesi, perché realizzare un progetto di questo tipo in un ospedale pubblico richiede uno sforzo organizzativo molto importante. Il nostro è un primo esperimento. Almeno a nostra conoscenza non esiste un ospedale pubblico in Italia che abbia messo in atto un percorso di cure integrate per il dolore pelvico cronico della paziente con endometriosi. Ci siamo riusciti sulla base di indicazioni scientifiche chiarissime che hanno rappresentato la nostra forza al momento della messa a terra, in cui è stata coinvolta anche l’associazione Ape (Associazione progetto endometriosi). Non abbiamo ricevuto fondi esterni, ma abbiamo potuto contare solo su iso-risorse. Abbiamo lottato anche per tenere la palestra aperta il sabato mattina, visto che normalmente è chiusa. Abbiamo cercato di venire incontro il più possibile alle esigenze delle pazienti, chiedendo dei servizi aggiuntivi alla struttura ospedaliera.

 

EndoGym è nato nel cuore dell’Emilia, in una regione che si distingue in Italia per aver costruito percorsi innovativi per la diagnosi precoce dell'endometriosi. Quanto ha contato il contesto?

Molto, perché la nostra è stata la prima Regione, e lo è tuttora, ad aver avviato un PDTA, ovvero un Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale, approvato da una giunta regionale che coordina le strutture preposte alla diagnosi e al trattamento dell’endometriosi. Io ho avuto un ruolo nell’attivazione dei PDTA: per due anni sono andato avanti e indietro ospedale-Regione per scrivere questo documento che poi ha portato a una sintesi davvero innovativa a livello nazionale. Ambivamo a fare e ottenere ancora di più ma noi non demordiamo e siamo ben coscienti che questo strumento ci dia la forza di presentare progetti nuovi. Molte Regioni ad oggi ci stanno provando, ci sono molti tavoli aperti in Piemonte, in Lombardia, in Veneto, in Sicilia, in Puglia. Dall’Emilia-Romagna stiamo cercando di diffondere una cultura dell’endometriosi che parta da un presupposto chiaro: il trattamento non deve mai limitarsi solo alla fase diagnostica o al gesto chirurgico. 

 

Perché il dolore è così difficile da estirpare?

Io rifletto e studio il dolore miofasciale, e quindi il dolore cronico, da almeno dieci anni. Parliamo di un dolore causato dall'infiammazione cronica e non per forza legato alla lesione prodotta dalla malattia che - lo ricordiamo - può colpire diversi organi. Molte pazienti sviluppano un dolore a livello delle strutture che io definisco “il contenitore”: muscoli, fasce, tendini, articolazioni. Per anni non si riuscivamo a capire le ragioni di tanta sofferenza. Spesso anche dopo un intervento condotto da mani chirurgiche fantastiche non si registrava una diminuzione del dolore, per via di quello che si chiama riflesso viscerosomatico. Abbiamo capito dunque che accanto alla chirurgia dovessimo lavorare su trattamenti diversi: fisiatrici, fisioterapici, e via dicendo, che agissero non sul contenuto ma sul contenitore che era causa del dolore. Per anni abbiamo consigliato alle nostre pazienti al termine della visita di fare di più: “Signora, cerchi di praticare yoga o ginnastica in allungamento, faccia un buono stretching per alleviare il dolore”. Oggi queste donne possono effettuarlo in un ospedale pubblico e in modo mirato, cosa che in palestre ordinarie non sarebbe possibile. Il via è stato dato nel 2023 quando la direzione generale di questo ospedale ha attivato un programma di umanizzazione delle cure di cui è capofila a livello nazionale.

Questo progetto porterà a una pubblicazione scientifica, ma cosa ci dicono i primi dati che avete raccolto rispetto alle prime 45-60 pazienti?

È stato richiesto alle pazienti, che hanno completato almeno il 75% delle lezioni (21 pazienti su 30), all’inizio, a metà e alla fine del percorso di completare due questionari sui sintomi e sulla qualità di vita relativa all’endometriosi. L’analisi preliminare dei dati ha mostrato un miglioramento soggettivo del dolore pelvico cronico del 64% e un miglioramento della dispareunia del 43% rispetto ai valori iniziali. La valutazione della qualità di vita relativa ai sintomi dell'endometriosi, calcolata mediante il questionario EPH-30 (Endometriosis health profile questionnaire), ha mostrato un miglioramento complessivo della stessa dell’8%. I dati raccolti fino ad ora sono molto incoraggianti sull’efficacia dell'approccio proposto da EndoGym per migliorare i sintomi di dolore cronico dati dalla patologia endometriosica, in pazienti già sottoposte a trattamento medico e/o chirurgico, e più globalmente la qualità di vita. 

 

Come si misura questo miglioramento?

Lo facciamo attraverso dei questionari validati che ci forniscono veri e propri punteggi. Abbiamo fatto una serie di analisi intermedie con delle valutazioni ginecologiche e fisiatriche che tengono conto anche della quotidianità come indicatore. Sono pazienti che migliorano clinicamente il dolore riferito, cioè hanno meno male e questo è un dato non da poco, e riescono parallelamente a migliorare la propria immagine corporea, cioè la percezione di sé che spesso risente della malattia. Ne escono più sicure. Si tratta di guardare con occhi nuovi anche al proprio apparato genitale. Pensi che molte donne con endometriosi confessano di volerlo rimuovere, estirpare, levare, stracciare: tutti verbi che denotano anche una rabbia di fondo. Misuriamo i benefici anche sulla capacità di compiere mansioni in modo più sereno: ci dicono di essere riuscite a lavorare di più e meglio e nel caso delle ragazze più giovani di aver ridotto le assenze scolastiche o universitarie. Per alcune lo yoga e la riabilitazione che offriamo sono il primo passo per una ripresa dell’attività fisica o per il ritorno alla vita sociale.

 

Puntate a estendere questo progetto a una platea più ampia?

Noi dobbiamo oggettivare l'eventuale e l'effettivo beneficio di questo percorso di trattamento attraverso i dati e questo ci ha portato a mettere in programma fin dall’inizio uno studio clinico che sarà oggetto di pubblicazione. Per fare questo però abbiamo dovuto contingentare il numero di pazienti. Non potevamo, inoltre, lasciarlo a libera prenotazione perché non abbiamo la forza per ora dal punto di vista delle risorse. Per il momento i fondi non sono sufficienti. Vorremmo ottenerne di più per potenziare gli spazi e aggiungere personale. Lo studio che sarà pubblicato e che mette in fila i risultati concreti sarà fondamentale per giustificare queste necessità pratiche. Sto già dialogando con importanti strutture del nostro territorio che vorrebbero adottare questo modello. 

 

Qual è il messaggio che si sente di lanciare ora che si avvicina il mese dell’endometriosi?

Per curare e trattare l'endometriosi bisogna mettere al centro l’aspetto culturale e questa posso dire che sia la mia missione da qui alla pensione, che non è così vicina: è una patologia che per troppo tempo è stata considerata solo dal punto di vista chirurgico e glielo dice uno che opera l'endometriosi dalla mattina alla sera. L’intervento è fondamentale e parliamo spesso di chirurgie molto complesse, che richiedono delle équipe multidisciplinari specializzate con una forte leadership ginecologica, anche se purtroppo non in tutte le strutture accade. Non si può agire come per il cancro del retto o come si farebbe per una classica asportazione dei diverticoli. Per questo bisogna diffondere una cultura dell’endometriosi: se i medici della mia generazione si fossero limitati a fare quello che ci insegnavano alla scuola di specializzazione saremmo rimasti indietro anni luce. Lo stesso vale per il trattamento non chirurgico: non possiamo limitarci alla terapia ormonale come si faceva nel passato, ma dobbiamo intervenire sul dolore in modo innovativo.

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