Epatite, nel 2023 registrati 523 nuovi casi. Tatuaggi e piercing tra i fattori di rischio

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L'incidenza è notevolmente diminuita rispetto agli anni Ottanta, ma le persone affette dalle forme A, B ed E sono aumentate rispetto al 2022. Oltre ai trattamenti estetici, tra le modalità di trasmissione c'è il consumo di cibi crudi o poco cotti e i viaggi in zone endemiche 

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Crescono i nuovi casi di epatite A, B, C ed E. È quanto riporta l’ultimo bollettino del Sistema di Sorveglianza sulle epatiti Seieva, dell’Istituto Superiore di Sanità, dove si legge che i nuovi casi registrati nel 2023 sono stati 523, precisamente 267 delle forme A, 153 delle B, 51 delle C e 58 della E. I casi di epatite A, B ed E sono quindi aumentati rispetto al 2022, al contrario dei casi di epatite C, che hanno subito un calo. L’incidenza è, però, notevolmente scesa rispetto agli anni Ottanta: 20 volte in meno per la A, 40 per la B e 50 per la C.

È stato registrato anche un caso di epatite Delta e altri 60 di cui non si conosce la famiglia. I test effettuati per questa forma sono stati, comunque, poco numerosi, nonostante la possibilità, nel caso ne venga rilevata la presenza, di aggravare le condizioni delle persone affette da epatite B. 

Le modalità di trasmissione  

Tra le modalità di trasmissione, il bollettino indica il consumo di molluschi crudi o poco cotti, i viaggi in zone endemiche, i rapporti sessuali tra uomini e il consumo di frutti di bosco per l’epatite A.

Per quanto riguarda la forma B, l’epatite si trasmette spesso attraverso l’esposizione a trattamenti di bellezza come manicure, piercing e tatuaggi, oltre alle cure odontoiatriche e ai comportamenti sessuali a rischio. Più rara è la trasmissione attraverso gli interventi sanitari.

Per la C, nel 40,4% dei casi l’infiammazione è stata trasmessa attraverso il ricorso a trattamenti estetici, un fattore di rischio che per la prima volta è stato più frequente dell’esposizione nosocomiale (29,4%). Un altro fattore è l’uso di droghe, registrato nel 27,1% del campione.

Infine, per la E, la maggioranza dei casi è legata al consumo di carne di maiale o cinghiale cruda o poco cotta, salvo quattro persone che erano di ritorno da zone endemiche.

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