Nuova luce su uno dei meccanismi alla base della Sla. Lo studio

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Una ricerca condotta da un team di biochimici dell'Università di Firenze in collaborazione con i colleghi dell'Ateneo di Genova apre interessanti prospettive su possibili bersagli farmacologici per combattere la Sclerosi Laterale Amiotrofica

 

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Nuova luce su uno dei meccanismi alla base della Sclerosi Laterale Amiotrofica (Sla), malattia altamente debilitante che colpisce ogni anno 6mila pazienti solo in Italia, soprattutto fra i 40 e i 70 anni di età. Un team di biochimici dell'Università di Firenze in collaborazione con i colleghi dell'Ateneo di Genova sono riusciti a classificare e quantificare nel dettaglio i depositi di una precisa proteina, TDP-43, che, nei pazienti con Sla spesso si sposta in modo anomalo fuori del nucleo dei motoneuroni, le cellule nervose che dal cervello trasmettono lo stimolo ai muscoli per la loro attivazione. Il risultato, descritto sulle pagine della rivista specializzata Science Advances, apre interessanti prospettive su possibili bersagli farmacologici per combattere la Sla.

Lo studio

La ricerca è stata cofinanziata da Fondazione Arisla e con fondi di un bando Fondazione CR Firenze - Università di Firenze. "Le ricerche sulla Sla ci dicono che nella grande maggioranza dei casi la proteina TDP-43 si deposita in forma di inclusioni al di fuori del nucleo dei motoneuroni, nel citoplasma delle loro cellule". Questo comporta due conseguenze negative: "Viene a mancare la proteina funzionale nel nucleo e queste inclusioni proteiche si accumulano nel citoplasma con azione nociva. La conseguenza è che il paziente con Sla non riesce a muovere i propri muscoli a causa del malfunzionamento dei motoneuroni", ha aggiunto.  

I risultati

Nel corso dello studio, il team di ricerca ha riprodotto questo meccanismo su cellule in coltura simili ai motoneuroni, grazie alla microscopia confocale Sted. Così "abbiamo isolato e contato nel tempo una per una le inclusioni di TDP-43 attribuendole a classi in base alla dimensione", riuscendo a identificare "le inclusioni maggiormente responsabili della malattia", hanno riferito Roberta Cascella e Alessandra Bigi, prime autrici dello studio.  
Queste sono risultate essere "quelle di grandi dimensioni a differenza di quanto succede nella maggior parte delle malattie neurodegenerative", ha sottolineato la ricercatrice Cristina Cecchi.
Lo studio ha inoltre rilevato che la degenerazione dei motoneuroni sarebbe dovuta "per circa il 60% alla perdita di proteina nel nucleo e per il 40% circa all'accumulo nel citoplasma di TDP-43", ha concluso Chiti.

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