Tumore del colon-retto, approvata dall’Aifa una terapia mirata

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L’Agenzia Italiana del Farmaco ha approvato la rimborsabilità della terapia a base di “encorafenib” in combinazione con “cetuximab” per il trattamento del tumore del colon-retto metastatico con mutazione del gene “BRAFV600E”, in pazienti che hanno ricevuto una precedente terapia sistemica. Il trattamento ha dimostrato di poter prolungare la sopravvivenza e ridurre il rischio di morte

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Nell’ambito delle cure del cancro al colon-retto è stata approvata dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) una nuova terapia mirata, ora disponibile nel nostro Paese per il trattamento di una delle forme di neoplasia tra le più aggressive. E’ stata confermata, in questo senso, la rimborsabilità di “encorafenib”, in combinazione con “cetuximab”, per il trattamento del tumore del colon-retto metastatico con mutazione del gene “BRAFV600E”, in pazienti che hanno ricevuto una precedente terapia sistemica. L’Aifa, inoltre, ha riconosciuto “l'innovatività condizionata” per questa stessa indicazione.

Uno studio di fase 3

Si tratta, spiegano gli esperti, della prima terapia mirata approvata per questa tipologia di pazienti, per i quali fino ad oggi venivano utilizzate combinazioni di chemioterapie intensive, sebbene con risultati non del tutto incoraggianti. L’esito della decisione è arrivato dopo l’analisi dello studio di fase 3 denominato “Beacon”, che ha portato a giugno 2020 all'approvazione da parte dell'Agenzia Europea per il Farmaco (Ema) dei due medicinali, e che aveva dimostrato una sopravvivenza globale mediana di 9,3 mesi e una riduzione del rischio di morte del 40% rispetto ai pazienti del gruppo di controllo.

Le caratteristiche della neoplasia

Come spiegato da Alberto Sobrero, a capo del dipartimento di Oncologia Medica dell'Ospedale San Martino di Genova, “la neoplasia colpisce ogni anno in Italia più di 43.700 persone. E il 20% delle diagnosi purtroppo è scoperto in fase metastatica”, ha detto. “Nella maggior parte dei casi, la malattia avanzata non è adatta a un intervento chirurgico potenzialmente curativo. Grazie alle nuove terapie, la sopravvivenza è migliorata, ma resta ancora un forte bisogno clinico insoddisfatto per i pazienti che presentano la mutazione del gene BRAF”. Si tratta, ha riferito ancora l’esperto, di un’alterazione “individuata in circa il 10% dei casi, associata ad una prognosi decisamente peggiore, perché il tumore è più aggressivo e per una maggiore resistenza alle terapie”. Considerando poi, che la mutazione V600E “è la più frequente tra quelle di BRAF e il rischio di mortalità in questi pazienti è più che raddoppiato rispetto a quelli 'non mutati', grazie alla nuova combinazione encorafenib e cetuximab, cambia il trattamento, con la possibilità di ritardare la progressione della malattia e prolungare la sopravvivenza”, ha concluso.

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