È quanto emerso da un nuovo studio pubblicato su Nature Genetics dai ricercatori del Dipartimento di genetica dell'Università di Groningen e da Serena Sanna del Cnr di Monserrato
Oltre alla dieta e allo stile di vita, anche il genoma umano potrebbe influenzare la composizione e la funzione del microbioma intestinale. È quanto emerso da un nuovo studio pubblicato su Nature Genetics dai ricercatori del Dipartimento di genetica dell'Università di Groningen e da Serena Sanna, dirigente di ricerca dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Cnr di Monserrato (Cagliari). I risultati della ricerca, condotta su un campione composto da quasi 8mila persone, oltre ad aiutare a migliorare la comprensione del ruolo del microbioma intestinale nelle malattie umane, potrebbero aprire la strada allo sviluppo di strategie nutrizionali personalizzate che tengano conto anche del genoma di ogni persona.
Lo studio nel dettaglio
Per compiere lo studio, il team di ricerca ha analizzato il microbioma intestinale di 7.738 partecipanti al progetto Dutch Microbiome Project, della biobanca olandese Lifelines. “Abbiamo utilizzato tecniche ad alta risoluzione per mappare quali batteri fossero presenti nel microbioma intestinale e la loro funzione. Per ogni partecipante, le informazioni, su oltre 5 milioni di varianti genetiche comuni, sono state quindi utilizzate per scansionare l'intero genoma umano alla ricerca di possibili associazioni con il microbioma intestinale", ha spiegato Serena Sanna.
I risultati
I ricercatori sono così riusciti a identificare due punti del genoma che avrebbero un impatto sulla composizione e sulla funzione del microbioma intestinale. Il primo è il gene che codifica per l'enzima lattasi (Lct), necessario per digerire il lattosio nello stomaco. "A seconda della variante nel genoma, questo enzima non è prodotto, o è prodotto in scarse quantità, e si può essere intolleranti al lattosio", ha spiegato la coordinatrice del team di ricerca. Il secondo è il gene Abo, che determina i tipi di gruppo sanguigno. “È stato scoperto che le persone con gruppo sanguigno A, B o AB hanno un aumentato numero di batteri della famiglia Collinsella rispetto alle persone con gruppo zero (0), cioè quelle persone che non presentano né l’antigene A né l’antigene B. Con questo studio, abbiamo scoperto che entrambi i geni LCT e ABO influenzano anche l’attività di altri batteri coinvolti nella degradazione del lattosio e del galattosio", ha concluso Sanna.