Si tratta di MEF2A e codifica per una proteina già nota per il suo ruolo nello sviluppo del sistema nervoso e muscolare, ma che finora non era stata ricondotta in alcun modo al sistema immunitario. La scoperta è stata pubblicata sulla rivista Immunity
L’interferone beta è una molecola chiave per la difesa dell’organismo da virus e tumori. Nel corso di un recente studio, è stato individuato il gene che ne regola il rilascio: si tratta di MEF2A e codifica per una proteina già nota per il suo ruolo nello sviluppo del sistema nervoso e muscolare, ma che finora non era stata ricondotta in alcun modo al sistema immunitario. La ricerca, pubblicata sulle pagine della rivista scientifica Immunity, è stata coordinata da Renato Ostuni, responsabile del laboratorio Genomica del Sistema Immunitario Innato presso l’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) di Milano. Gli sforzi condotti dal gruppo di ricercatori hanno portato a una scoperta che ha importanti implicazioni nella lotta alle malattie infettive e oncologiche e nell’ottimizzazione dei protocolli di terapia genica per malattie genetiche rare.
Il ruolo dell’interferone beta
L’interferone di tipo beta fa parte degli interferoni di tipo I, che sono alcune delle più potenti molecole ad azione infiammatoria. Si tratta di proteine essenziali per la sopravvivenza, soprattutto considerando che quando l’organismo non riesce a produrne a sufficienza il sistema immunitario non può offrire una difesa efficace contro patogeni e tumori. Nel corso degli anni sono stati scoperti diversi geni coinvolti nei processi di regolazione degli interferoni. Il team di Ostuni è arrivato a MEF2A studiando il meccanismo d’azione di una molecola, la prostaglandina E2 o PGE2, conosciuta per la sua capacità di modulare le risposte immunitarie.
I vantaggi della scoperta
“La PGE2, inoltre, è un ingrediente essenziale nei protocolli di terapia genica, perché permette di coltivare e ingegnerizzare le cellule staminali del sangue, preservandone la piena funzionalità”, spiega Ostuni. “Studi internazionali suggeriscono che possa favorire la rigenerazione del midollo osseo dopo il trapianto”. Secondo il ricercatore questa scoperta “permetterà anche di migliorare i protocolli di terapia genica: la capacità rigenerativa delle cellule staminali del sangue viene, infatti, compromessa da fenomeni infiammatori, sia durante la correzione genica in laboratorio che a seguito del trapianto nei pazienti”.