Alzheimer: scoperta una possibile nuova arma contro la malattia

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Il risultato si deve a un team di ricercatori dell'Università Pablo de Olavide ed è correlato alla scoperta che gli ormoni steroidei influenzano lo sviluppo dell'Alzheimer

La lotta all’Alzheimer si può arricchire di una nuova speranza e di una nuova arma per contribuire a contrastare il progredire della malattia. Il merito è di un team di ricercatori dell'Università Pablo de Olavide e i risultati ottenuti sono strettamente correlati alla scoperta che gli ormoni steroidei, gli stessi che regolano i processi come i cambiamenti associati alla pubertà, influenzano lo sviluppo dell'Alzheimer.
Questa scoperta ha portato all'identificazione di un farmaco per il trattamento di questa malattia neurodegenerativa del sistema nervoso centrale, STX64.
I risultati dello studio, descritti nel dettaglio sulle pagine della rivista specializzata Nature Communications, aprono la strada allo sviluppo di un nuovo trattamento contro l'Alzheimer.

Lo studio sui vermi

In un iniziale test condotto su vermi, i Caenorhabditis elegans, a cui è stata indotta la malattia di Alzheimer, il team di ricerca ha scoperto che alcuni ormoni steroidei modificati con l'aggiunta di un gruppo solfato, hanno migliorato i sintomi di questa malattia. Trattando gli animali con STX64, un farmaco per uso orale che inibisce l'attività della solfatasi, i ricercatori hanno notato un miglioramento della patologia.
Lo stesso risultato è emerso anche da un successivo test condotto sui topi a cui è stata indotta la malattia di Alzheimer. "Questi animali, che sono caratterizzati dalla perdita di capacità cognitiva con l'età, quando sono stati trattati con Stx64 e hanno recuperato la memoria raggiungendo lo stesso livello dei topi sani", precisano gli autori in un nota pubblicata sul sito dell'ateneo. Il gruppo di ricerca ha ottenuto un brevetto europeo sul composto STX64, di proprietà dell'Università Pablo de Olavide, e effettuerà una sperimentazione clinica su malati di Alzheimer della durata di un anno. "Non siamo solo di fronte alla scoperta di un nuovo meccanismo che potrebbe partecipare alla regolazione della comparsa dell'Alzheimer, ma anche contro un possibile trattamento che potrebbe essere utilizzato nell'uomo", ha spiegato Manuel J. Muñoz, coordinatore del team di ricerca.

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