Si tratta del progetto di ricerca europeo “Flamin-Go”, pensato con l’obiettivo di aprire una nuova strada verso l’assistenza personalizzata nel trattamento di questa malattia infiammatoria cronica autoimmune. Il punto di partenza è “una soluzione organo su chip che consentirà la selezione del miglior farmaco sul mercato per il trattamento di ciascun paziente, oltre a consentire lo sviluppo di nuovi farmaci”. Capofila, insieme a diverse istituzioni pubbliche e private, l’Università del Piemonte Orientale
Il suo acronimo è "Flamin-Go", letteralmente inteso come “infiammazione che va via”, e riguarda un progetto di ricerca europeo elaborato con l’obiettivo di sviluppare trattamenti su misura per ogni paziente affetto da artrite reumatoide, già premiato nel programma Horizon 2020 con un finanziamento di 6 milioni di euro. Al lavoro sul progetto, come spiega un comunicato diffuso dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), c’è attualmente un team internazionale di ricercatori che fanno parte di diverse strutture pubbliche e private, guidate dall’Università del Piemonte Orientale, tra cui l’Istituto di Nanotecnologia del Cnr di Lecce, la Queen Mary University di Londra, il Max Planck Institute e l’Ao Foundation svizzera.
Cos’è l’artrite reumatoide
L’artrite reumatoide, spiegano gli esperti, è una malattia infiammatoria cronica autoimmune che soltanto in Italia colpisce oltre 400.000 persone, mentre, considerando l’intera Unione Europea, il numero passa ad un totale di circa 2.900.000 pazienti. È caratterizzata, si legge in un comunicato diffuso dal Cnr, da un’infiammazione cronica della sinovia, ovvero della membrana che consente il corretto funzionamento delle articolazioni. “L’infiammazione”, ha sottolineato Costantino Pitzalis, docente e direttore di Medicina sperimentale e Reumatologia della Queen Mary University, “provoca una crescita incontrollata della sinovia, che si espande fino a distruggere la cartilagine ed erodere il tessuto osseo. Questo provoca dolore e rigidità articolare che, se non trattati, compromettono la qualità di vita del paziente con un danno anatomico ed una disabilità irreversibile”. Ma, ha spiegato l’esperto, “non esiste una cura definitiva per l'artrite reumatoide. La remissione dei sintomi è più probabile quando il trattamento inizia precocemente con farmaci antireumatici modificanti la malattia e, in caso di fallimento, si passa alle terapie di seconda linea, quelle biologiche mirate a specifiche vie cellulari e molecolari del sistema immunitario”.
I dettagli del progetto
Proprio per questo motivo e per ovviare ai ritardi nella definizione della terapia più appropriata che comporta che circa il 40% dei pazienti con questa patologia non riesca ad ottenere un miglioramento, con una disabilità significativa e maggiori costi sociali, arriva in soccorso “Flamin-Go”. Come raccontato da Annalisa Chiocchetti, coordinatore del progetto e docente di Immunologia all’Università del Piemonte Orientale, si tratta di un progetto “pensato con l’intento di aprire una nuova strada verso l’assistenza personalizzata nel trattamento dell’artrite reumatoide, fornendo una soluzione organo su chip che consentirà la selezione del miglior farmaco sul mercato per il trattamento di ciascun paziente, oltre a consentire lo sviluppo di nuovi farmaci”. In sostanza, ha aggiunto l’esperta, si tratta di una soluzione che si baserà sulla progettazione e la produzione di una “piattaforma microfluidica multi-compartimento per la coltura 3D e la perfusione di tutti i tessuti articolari rilevanti per la malattia”. Si concentrerà, nello specifico, sulla sinovia e sul liquido sinoviale, ma non solo perché coinvolgerà anche il sistema immunitario (vasi sanguigni e leucociti), così come la cartilagine e l'osso che risultano i tessuti più danneggiati”. E la piattaforma così implementata, ha poi aggiunto, “potrà essere utilizzata per studiare le basi molecolari della malattia di ciascun paziente”.