Coronavirus nell'aria? Solo in presenza di assembramenti. Lo studio

Salute e Benessere

A suggerirlo sono i risultati di una nuova ricerca italiana multidisciplinare, che ha analizzato le concentrazioni e le distribuzioni dimensionali delle particelle virali nell’aria esterna, tramite dei test condotti in Veneto e Puglia lo scorso maggio

Da una ricerca italiana arrivano nuovi dettagli sul ruolo della trasmissione in aria  (airborne) del coronavirus attraverso le goccioline respiratorie. Un nuovo studio, condotto dall’Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac) di Lecce, dall’Università Ca’ Foscari Venezia, dall’Istituto di scienze polari del Cnr (Cnr-Isp) di Venezia e dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata (Izspb), ha evidenziato una bassa probabilità di trasmissione airbone del contagio all’esterno se non nelle zone di assembramento. Per giungere a queste conclusioni, il team di ricerca ha analizzato le concentrazioni e le distribuzioni dimensionali delle particelle virali nell’aria esterna, tramite dei test condotti in Veneto e Puglia lo scorso maggio, tra la fine del lockdown e la ripresa delle attività. 

Foto Fabio Ferrari/LaPresse
18 Marzo 2020 Torino (Italia)  
Cronaca
Emergenza Coronavirus - Daily life nei parchi torinesi durante la quarantena.
Nella foto : corridore
 
photo Fabio Ferrari/LaPresse
March 18,  2020 Turin, Italy 
News 
Coronavirus Emergency - Daily life in the Turin parks during the quarantine.
In The pic:runner
Emergenza Coronavirus, la vita nei parchi torinesi durante la quarantena

Lo studio nel dettaglio 

 

Lo studio, pubblicato sulle pagine della rivista specializzata Environment International, “ha preso in esame due città a diverso impatto di diffusione: Venezia-Mestre e Lecce, collocate in due parti del Paese (Nord e Sud Italia) caratterizzate da tassi di diffusione del Covid-19 molto diversi nella prima fase della pandemia”, spiega Daniele Contini, ricercatore Cnr-Isac. 

In Veneto, infatti, durante la prima fase della pandemia, la diffusione del coronavirus è stata “eccezionalmente grave”: la Regione ha raggiunto il massimo dei casi attivi il 16 aprile con 10.800 casi su una popolazione di 4,9 milioni (circa il 10% del totale dei casi italiani). In Puglia, invece, il valore massimo è stato registrato il 3 maggio con 2.955 casi (3% del totale dei casi italiani) su una popolazione di 4 milioni di persone.

Come precisato dal team di ricerca, all'inizio del test (13 maggio 2020), le Regioni Veneto e Puglia erano interessate, rispettivamente, da 5.020 e 2.322 casi attivi.

“Il ruolo della trasmissione airborne dipende da diverse variabili quali la concentrazione e la distribuzione dimensionale delle particelle virali in atmosfera e le condizioni meteorologiche. Queste variabili poi, si diversificano a seconda che ci considerino ambienti outdoor e ambienti indoor”, precisa Marianna Conte, ricercatrice Cnr-Isac. 

 

I risultati della ricerca

 

Per valutare la presenza del coronavirus nei campioni di aerosol analizzati, i ricercatori  hanno raccolto il particolato atmosferico di diverse dimensioni dalla nanoparticelle al PM10 e, grazie all’utilizzo di tecniche di diagnostica di laboratorio avanzate, sono andati in cerca del materiale genetico (RNA) del SARS-CoV-2. “Tutti i campioni raccolti nelle aree residenziali e urbane in entrambe le città sono risultati negativi, la concentrazione di particelle virali è risultata molto bassa nel PM10 (inferiore a 0.8 copie per m3 di aria) e in ogni intervallo di dimensioni analizzato (inferiore a 0,4 copie/m3 di aria)”, prosegue Contini. “Pertanto, la probabilità di trasmissione airborne del contagio in outdoor, con esclusione di quelle zone molto affollate, appare molto bassa, quasi trascurabile. Negli assembramenti le concentrazioni possono aumentare localmente così come i rischi dovuti ai contatti ravvicinati, pertanto è assolutamente necessario rispettare le norme anti-assembramento anche in aree outdoor”.

“Un rischio maggiore potrebbe esserci in ambienti indoor di comunità scarsamente ventilati, dove le goccioline respiratorie più piccole possono rimanere in sospensione per tempi più lunghi ed anche depositarsi sulle superfici”, precisa Andrea Gambaro, professore a Ca’ Foscari. “È quindi auspicabile mitigare il rischio attraverso la ventilazione periodica degli ambienti, l’igienizzazione delle mani e delle superfici e l’uso delle mascherine”. Nella seconda fase del progetto AIR-CoV, gli esperti si focalizzeranno sullo studio delle concentrazioni in alcuni ambienti indoor di comunità. 

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