Riguarda un trattamento (blinatumomab), proposto nell’ambito della lotta alla leucemia linfoblastica acuta (LLA), che potrà essere utile per sconfiggere quelle cellule invisibili che possono permanere anche quando la malattia non dà più sintomi e i parametri clinici sono rientrati nella norma, aumentando però il rischio di ricadute
Nuovi e importanti passi avanti, in ambito medico e scientifico, arrivano nella lotta alla leucemia linfoblastica acuta (LLA), una forma aggressiva di tumore del sangue che può colpire sia adulti e sia bambini. I pazienti, infatti, potranno sfruttare nuove opportunità per beneficiare di periodi sempre più lunghi liberi dalla malattia, fino alla sua potenziale eradicazione completa, grazie alla prima immunoterapia per il trattamento della malattia residua minima (MRD), utile per sconfiggere le cellule invisibili anche al microscopio ottico che possono permanere anche quando la malattia non dà più sintomi e i parametri clinici sono rientrati nella norma, aumentando però il rischio di ricadute.
Il nuovo trattamento
Il nuovo trattamento (blinatumomab), già in uso contro la leucemia linfoblastica acuta negli adulti, ha ricevuto da poco il via libera dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) per l'estensione d'uso sia sugli adulti con malattia residua da Lla sia sui bambini in cui la malattia si ripresenta o non regredisce dopo precedenti trattamenti o dopo essere stati sottoposti a trapianto di cellule staminali. L’immunoterapia è stata presentata a Venezia, nel corso dell’incontro dal titolo “Un ponte verso il futuro dell'oncoematologia”, condotto dal direttore del Dipartimento di Oncoematologia dell'Ospedale Bambino Gesù di Roma, Franco Locatelli e dal direttore dell'Unità di Ematologia dell'Aulss Serenissima, Renato Bassan. La malattia, hanno spiegato gli esperti, riguarda circa 400 casi l'anno in Italia ed è in grado di attaccare il “residuo minimo di malattia”, in sostanza tutte quelle cellule tumorali in qualche modo “sopravvissute” e non individuabili attraverso esami standard, effettuati dopo che la malattia è regredita. La nuova terapia, adesso, potrebbe diminuire il rischio di ricadute concedere nuove speranze ai pazienti, soprattutto pediatrici, che vanno incontro a recidive.
Obiettivo: eradicazione completa
Proprio l'attacco alla malattia residua, hanno sottolineato gli esperti, sarà la premessa per arrivare in futuro alla completa eradicazione della LLA. Infatti, secondo i dati emersi, in circa il 30% dei pazienti adulti con LLA da precursori delle cellule B anche dopo la remissione della patologia, situazione clinica dunque senza segni evidenti, resiste un residuo di malattia, in sostanza un piccolo numero di cellule leucemiche rilevabili solo con particolari diagnostiche. Per questi pazienti la sopravvivenza media è di circa 2 anni. Ed è proprio qui che può subentrare la nuova immunoterapia, il cui meccanismo d'azione è basato sulla tecnologia chiamata “BiTE”, la quale consente alla molecola immunoterapica, un anticorpo definito a “doppio bersaglio”, di legarsi allo stesso tempo a due bersagli, costruendo una specie di "ponte" che connette le cellule T, gli agenti più potenti del sistema immunitario, alle cellule tumorali bersaglio. Grazie a questo meccanismo, le cellule T possono agire a distanza ravvicinata sulle cellule tumorali, riconoscendole e rilasciando molecole che ne provocano la morte. Nei bambini a cui le cure convenzionali non sortivano effetto, ha spiegato Locatelli, "le chance di recupero erano fino ad oggi marcatamente basse. Ma da adesso, abbiamo a disposizione un'arma in più e blinatumomab rappresenta uno dei maggiori esempi di successo dell'immunoterapia, una forma innovativa di trattamento che sta rivoluzionando l'oncologia pediatrica dando nuove speranze alle famiglie", ha detto l’esperto. A proposito della speranza di eradicazione definitiva della malattia, si tratta di un processo che “dovrà essere confermato da studi su numeri più ampi di pazienti e monitoraggi molto lunghi nel tempo. Tuttavia, i dati attuali sono abbastanza consistenti, perché disponiamo di un monitoraggio di alcuni anni, e vanno in questa direzione. Vi sono numerosi soggetti che sono confermati essere senza malattia residua e senza recidiva dopo 4-5 anni", ha invece rilevato Bassan.