Il morbo di Parkinson potrebbe iniziare a svilupparsi prima della nascita

Salute e Benessere
Immagine di archivio (Getty Images)

È quanto emerso da uno studio condotto da un team di ricercatori del Cedars-Sinai Medical Center, in California, che è riuscito a individuare delle tracce molecolari della patologia nell’utero 

Il Parkinson giovanile, che generalmente si manifesta tra i 20 i 50 anni, potrebbe iniziare a svilupparsi nel cervello dei pazienti ancor prima della loro nascita.
A suggerirlo sono i risultati di un nuovo studio condotto da un team di ricercatori del Cedars-Sinai Medical Center, in California, che è riuscito a individuare delle tracce molecolari della patologia nell’utero.
I risultati del nuovo studio potrebbero dare il via a una serie di ricerche finalizzate a realizzare nuovi trattamenti potenzialmente in grado di prevenire il Parkinson e di contrastarne il progresso.

Lo studio nel dettaglio

Per compiere lo studio, pubblicato sulla rivista specializzata Nature Medicine, gli esperti partendo da cellule cerebrali di pazienti con Parkinson giovanile, sono riusciti a ricavare delle staminali pluripotenti, tramite le quali hanno ricreato dei neuroni che producono dopamina, ovvero quelle unità cellulari che risultato compromesse nei pazienti che ne sono affetti.
Sono così riusciti a studiare nel dettaglio la crescita dei neuroni dopaminergici, rivelando due anomalie chiave: l’accumulo della proteina alfa-sinucleina, che si verifica nella maggior parte delle forme del morbo di Parkinson, e la presenza di lisosomi malfunzionanti, che potrebbero spiegare l’accumulo di alfa-sinucleina.
Nei pazienti affetti da Parkinson giovanile, "i neuroni della dopamina gestiscono male l'alfa-sinucleina per un periodo di 20 o 30 anni, facendo poi iniziare a emergere i sintomi del Parkinson”, ha spiegato Clive Svendsen, coordinatore dello studio.

Risultati dello studio

I ricercatori hanno successivamente utilizzato i neuroni ottenuti in laboratorio per testare una serie di farmaci che potrebbero correggere le anomalie riscontrate nello studio.
Nello specifico, hanno dimostrato che l'ingenolo mebutato, utilizzato anche in Italia per il trattamento di formazioni precancerose della pelle, sarebbe in grado di ridurre il livello di alfa-sinucleina nei neuroni. Il farmaco è risultato efficace sia nei test condotti in vitro che sui topi di laboratorio.
Secondo gli esperti, i risultati "forniscono la speranza che un giorno potremmo riuscire a individuare e curare precocemente questa malattia, per evitare che si sviluppi negli individui a rischio".

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